domenica 1 luglio 2012

1° settembre 2012: “Educare alla custodia del creato per sanare le ferite della terra”



Messaggio per la 7ª Giornata per la salvaguardia del creato




1. La Giornata per la salvaguardia del creato: lode e riconciliazione

Celebrare la Giornata per la salvaguardia del creato significa, in primo luogo, rendere grazie al Creatore, al Dio Trino che dona ai suoi figli di vivere su una terra feconda e meravigliosa.
La nostra celebrazione non può, però, dimenticare le ferite di cui soffre la nostra terra, che possono essere guarite solo da coscienze animate dalla giustizia e da mani solidali. Guarire è voce del verbo amare, e chi desidera guarire sente che quel gesto ha in sé una valenza che lo vorrebbe perenne, come perenne e fedele è l’Amore che sgorga dal cuore di Dio e si manifesta nella bellezza nel creato, a noi affidato come dono e responsabilità. Con esso, proprio perché gratuitamente donato, è necessario anche riconciliarsi quando ci accorgiamo di averlo violato.
La riconciliazione parte da un cuore che riconosce innanzi tutto le proprie ferite e vuole sanarle, con la grazia del Signore, nella conversione e nel gesto gratuito della confessione sacramentale. Quindi si fa anche riconciliazione con il creato, perché il mondo in cui viviamo porta segni strazianti di peccato e di male causati anche dalle nostre mani, chiamate ora a ricostituire mediante gesti efficaci un’alleanza troppe volte infranta.
Questo è lo scopo del messaggio che vi inviamo, carissimi fratelli e sorelle, come Vescovi incaricati di promuovere la pastorale nei contesti sociali e il cammino ecumenico, in un fecondo intreccio che ci vede vicini e ci impegna tutti. Nella condivisione della lode e della responsabilità per la custodia del creato, il mese di settembre sta diventando per tutte le Confessioni cristiane una rinnovata occasione di grazia e di purificazione. Anche di questo rendiamo grazie al Signore.
La nostra riflessione raccoglie le tante sofferenze sperimentate, in questo anno, da numerose comunità, segnate da eventi luttuosi. Pensiamo alle immense ferite inflitte dal terremoto nella Pianura Padana. Mentre riconosciamo la nostra fragilità, cogliamo anche la forza della nostra gente, nel voler ad ogni costo rinascere dalle macerie e ricostruire con nuovi criteri di sicurezza. Pensiamo alle alluvioni che hanno recato lutti e distruzioni a Genova, nelle Cinque Terre, in Lunigiana e in vaste zone del Messinese. Nel pianto di tutti questi fratelli e sorelle sentiamo il lutto della terra, cui la stessa Sacra Scrittura fa riferimento, e che coinvolge tristemente anche gli animali selvatici, gli uccelli del cielo e i pesci del mare (cfr Os 4,3). È significativo, in proposito, che il 9 ottobre sia stato dichiarato dallo Stato italiano “Giornata in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo”.


2. Una storia di guarigione e responsabilità

La guarigione nasce da un cuore che ama, che si fa vicino all’altro per essere insieme liberati nella verità e condividere la vita. È la logica dell’educazione alla “vita buona del Vangelo” che le nostre Chiese stanno percorrendo in questo decennio.
Ce lo ricorda anche la storia biblica di Giuseppe (cfr Gen 37-49), venduto dai fratelli per rivalità e gelosia. La sua vicenda contiene un concreto itinerario di guarigione da parte di Dio delle ferite, sia quelle del cuore che quelle della terra. Giuseppe è gettato nel pozzo, gridando la sua innocenza, ma non è ascoltato dai fratelli. A prestare ascolto al suo gemito sarà Dio stesso, che ha cuore di padre. Giuseppe diventerà il viceré d’Egitto, attuando una intelligente politica agraria. Nella precarietà della crisi che si abbatte sul paese, resa visibile dalle vacche magre e dalle spighe vuote, immagini di forte suggestione anche per il momento attuale, la relazione del popolo con la terra sarà sanata proprio grazie alla lungimiranza e alla responsabilità per il bene comune dimostrata da Giuseppe, figura emblematica della Sapienza donata da Dio a Israele.
Egli, inoltre, pensa in termini di riconciliazione e non di vendetta quando si vede davanti i suoi fratelli, che lo hanno tradito e venduto. Se li mette alla prova con severità, è per cogliere l’autenticità del legame che li unisce al padre Giacobbe, verificando così la radice di ogni guarigione, interiore ed esteriore. Dopo aver constatato che il padre resta il premuroso e insostituibile punto di riferimento, egli rivela la sua identità, in un pianto liberatorio che diviene accoglienza fraterna e futuro di benessere in una terra e in un cuore riconciliati in saggezza e verità. Giuseppe stesso esce trasformato da questo perdono: egli diviene consapevole dell’agire misericordioso di Dio verso gli uomini.
Quello di Giuseppe, dunque, è l’itinerario biblico che proponiamo, perché possa essere di luce e di speranza, durante questo faticoso ma liberante cammino di benedizione.


3. Educare all’alleanza tra l’uomo e la terra

A noi, come Chiese in Italia, in sintonia con tante Chiese nel mondo, spetta proprio questo compito: riportare il cuore della nostra gente dentro il cuore stesso di Dio, Padre di tutti, che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). Solo se diventerà primaria la coscienza di una universale fraternità, potremo edificare un mondo in cui condividere le risorse della terra e tutelarne le ricchezze. Ciò si accompagna alla comprensione che la creazione ci è donata da Dio, che essa stessa si fa percorso verso Dio e ci fa sperimentare il dialogo tra di noi nella verità, come fratelli che hanno riconosciuto la paternità gratuita di Dio.
Si legge, infatti, nel messaggio scaturito dall’ultimo Forum Europeo Cattolico-Ortodosso, tenutosi a Lisbona nello scorso giugno: «Non è più possibile dilapidare le risorse del creato, inquinare l’ambiente in cui viviamo come stiamo facendo. La vocazione dell’uomo è di essere il custode e non il predatore del creato. Oggi si deve essere consapevoli del debito che abbiamo verso le generazioni future alle quali non dobbiamo trasmettere un ambiente degradato e invivibile» (n. 11).
È nella Bibbia che incontriamo la grande prospettiva dell’alleanza tra Dio e la sua creazione, in una reciprocità da riconoscere davanti a luoghi dove la bellezza esteriore si è fatta segno di una bellezza interiore – pensiamo, ad esempio, ai tanti siti dove i monaci custodiscono il creato – ma anche davanti ai tristi scempi dell’ambiente naturale, provocati dal peccato degli uomini, evidente soprattutto nelle azioni della criminalità mafiosa.
Tra ecologia del cuore ed ecologia del creato vi è infatti un nesso inscindibile, come ricorda Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate: «L’uomo interpreta e modella l’ambiente naturale mediante la cultura, la quale a sua volta viene orientata mediante la libertà responsabile, attenta ai dettami della legge morale» (n. 48). L’ambiente naturale non è una materia di cui disporre a piacimento, «ma opera mirabile del Creatore, recante in sé una “grammatica” che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario. Oggi molti danni allo sviluppo provengono proprio da queste concezioni distorte» (ivi), come quelle che riducono la natura a un semplice dato di fatto o, all’opposto, la considerano più importante della stessa persona umana.
Ci viene chiesto, perciò, di annunciare queste verità con crescente consapevolezza, perché da esse potrà sgorgare un concreto e fedele impegno di guarigione dell’ambiente calpestato. Si tratta di un compito che appartiene alla sollecitudine educativa delle comunità cristiane e offre l’occasione per catechesi bibliche, momenti di preghiera, attività di pastorale giovanile, incontri culturali. È  una responsabilità che appartiene anche ai docenti, in particolare agli insegnanti di religione: essa potrà essere intensivamente richiamata nel mese di settembre, dedicato in modo speciale al creato e tempo di ripresa della scuola.
Ritessere l’alleanza tra l’uomo e il creato significa anche affrontare con decisione i problemi aperti e i nodi particolarmente delicati, che mostrano quanto ampie e complesse siano le questioni legate all’intreccio tra realtà ambientale e comunità umana. Accanto all’annuncio, infatti, è necessaria anche la denuncia di ciò che viola per avidità la sacralità della vita e il dono della terra. Proprio in questi mesi è venuta all’attenzione dei media la questione dell’eternit a Casale Monferrato, con i gravi impatti sulla salute di tanti uomini e donne, che continueranno a manifestarsi ancora per parecchi anni. Un caso emblematico, che evidenzia lo stretto rapporto che intercorre tra lavoro, qualità ambientale e salute degli esseri umani. L’attenzione vigilante per tale drammatica situazione e per i suoi sviluppi deve accompagnarsi alla chiara percezione che l’amianto è solo uno dei fattori inquinanti presenti sul territorio. Vi sono anzi aree nelle quali purtroppo la gestione dei rifiuti e delle sostanze nocive sembra avvenire nel più totale spregio della legalità, avvelenando la terra, l’aria e le falde acquifere e ponendo una grave ipoteca sulla vita di chi oggi vi abita e delle future generazioni.
Mentre esprimiamo una volta di più quella solidarietà partecipe, che si è già manifestata in numerosi gesti di condivisione, desideriamo proporre una riflessione tesa a cogliere in tali accadimenti alcuni elementi che la stessa forza dell’emergenza rischia di lasciare sullo sfondo, impedendo di percepirne tutta la rilevanza. Occorre invece saper leggere i segni dei tempi, scoprendo – nella luce della fede – quegli inviti a riorientare responsabilmente il nostro cammino che essi portano in sé.
            Annunciare la verità sull’uomo e sul creato e denunciare le gravi forme di abuso si accompagna alla messa in atto di scelte e gesti quali stili di vita intessuti di sobrietà e condivisione, un’informazione corretta e approfondita, l’educazione al gusto del bello, l’impegno nella raccolta differenziata dei rifiuti, contro gli incendi devastatori e nell’apprendistato della custodia del creato, anche come occasioni di nuova occupazione giovanile.


4. Per una Chiesa custode della terra

Vivere il territorio come un bene comune è un’esigenza di vasta portata, che richiama anche le comunità ecclesiali a una presenza vigilante. Il territorio, infatti, è davvero tale quando abitato da un soggetto comunitario che se ne prenda realmente cura e la presenza capillare del tessuto ecclesiale deve esprimere anche un impegno in tal senso. Abbiamo bisogno di una pastorale che ci faccia recuperare il senso del “noi” nella sua relazione alla terra, in una saggia azione educativa, secondo le prospettive degli Orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Vangelo. Prendersi cura del territorio, del resto, significa anche permettere che esso continui a produrre il pane e il vino per nutrire ogni uomo e che ogni domenica offriamo come “frutti della terra e del nostro lavoro” a Dio, Padre e Creatore, perché diventino per noi il Corpo e il Sangue del Suo amatissimo Figlio.
Per questo invitiamo con forza a tornare a riflettere sul nostro legame con la terra e, in particolare, sul rapporto che le comunità umane intrattengono col territorio in cui sono radicate. Si tratta di una realtà complessa e ricca di significati, che spesso rimanda a storie di relazioni e di crescita comune, in cui la città degli uomini e delle donne rivela il suo profondo inserimento in un luogo e in un ambiente. Il territorio è sempre una realtà naturale, con una dimensione biologica ed ecologica, ma è anche inscindibilmente cultura, bellezza, radicamento comunitario, incontro di volti: una densa realtà antropologica, in cui prende corpo anche il vissuto di fede.
I santi ci insegnano con chiarezza la strada da seguire, come san Bernardino da Siena, che mentre poneva al vertice della sua opera pastorale il nome di Gesù, davanti al quale tutti i ginocchi si piegano in adorazione, si adoperava per rafforzare i Monti di pietà e i Monti frumentari, segni di una rinascita che dà al denaro il giusto valore, diventando anche precursore di quella “economia di fiducia” che sola può guarire le ferite della nostra crisi, causata da avidità e insipienza.
Le stesse mani dell’uomo, sostenute e guidate dalla forza dello Spirito, potranno così guarire e risanare, in piena riconciliazione, il creato ferito, a noi affidato dalle mani paterne di Dio, guardando con responsabilità educativa alle generazioni future, verso cui siamo debitori di parole di verità e opere di pace.

Roma, 24 giugno 2012
Solennità della Natività di San Giovanni Battista


La Commissione Episcopale
per i problemi sociali e il lavoro,
la giustizia e la pace
La Commissione Episcopale
per l’ecumenismo e il dialogo