sabato 30 marzo 2013


Custodiamo Cristo nella nostra vita per custodire gli altri, per custodire il creato!

La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti…
è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo.

E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore… 
Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza!”

Dall’omelia di inizio ministero di Papa Francesco
19 marzo 2013

giovedì 28 marzo 2013

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/03/28/con_la_lavanda_dei_piedi_ges%C3%B9_ci_invita_a_lavarci_i_piedi_gli_un/it1-677858 del sito Radio Vaticana

Con la lavanda dei piedi Gesù ci invita a lavarci i piedi gli uni agli altri. Così il Papa nella Messa in Coena Domini nel carcere minorile


La lavanda dei piedi è “una carezza che fa Gesù” per invitarci a lavarci i piedi gli uni agli altri. E’ questa l’esortazione che Papa Francesco rivolge nella sua prima Messa in Coena Domini da Pontefice, celebrata nel pomeriggio all’interno del Carcere minorile romano di Casal del Marmo. Vi hanno preso parte circa 120 persone, fra le quali 50 giovani detenuti, ragazzi e ragazze. Durante la celebrazione che dà inizio al Triduo Pasquale, il Papa ha lavato i piedi a 12 di loro, di nazionalità e confessioni diverse. Al termine della Messa, la Reposizione del Santissimo Sacramento. Il servizio di Debora Donnini: RealAudioMP3
Se io, il Signore, ho lavato i piedi a voi anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni agli altri. Nella breve omelia pronunciata a braccio, Papa Francesco si rivolge ai giovani detenuti di Casal del Marmo con parole toccanti, che vanno dritte al cuore, partendo dall’immagine di Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli. “Questo è commovente”, afferma Papa Francesco. Pietro non capiva, rifiutava, come si evince dal Vangelo proclamato, ma Gesù glielo ha spiegato:

“Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto io”.
E dunque l’invito di papa Francesco è a seguire “l’esempio del Signore”: lui, Dio, che “è più importante” lava i piedi:

“perché fra noi quello che è il più alto, deve essere al servizio degli altri”.


continua ...

venerdì 22 marzo 2013

Giornata mondiale dell’acqua

22 marzo


Acqua, bene comune. “Un grande dono di Dio che deve essere messo a disposizione della gente” ha detto padre Alex Zanotelli, che continua a battersi contro la privatizzazione dell’acqua. Le indicazioni del referendum per l’acqua pubblica fino ad oggi non sono state rispettate e in Italia sono circa due milioni le persone che non hanno accesso all’acqua potabile. Un bene essenziale, e non una merce, per la vita delle popolazioni. Basta pensare che in Africa l’88% dei decessi e’ legato alla mancanza di servizi igienici e acqua pulita.

da http://altrevoci.blog.rainews24.it/2013/03/22/giornata-mondiale-dellacqua/

giovedì 21 marzo 2013

Non i segni del potere ma il potere dei segni per una Chiesa del grembiule

Ecco come si è presentato il vescovo di Roma: papa Francesco.

Che segni di speranza posti dal nuovo vescovo di Roma, papa Francesco, all'inizio della sua missione come pastore della Chiesa cattolica!
Non ha voluto indossare da subito la mantellina di rosso porpora che è un segno del potere monarchico, ma solamente l'abito bianco con le sue scarpe nere e non quelle rosse da pontefice. Si è rivolto subito alla gente con il saluto popolare “buona sera”, come pure alla fine del discorso “buona notte e buon riposo”. Si è inchinato di fronte alla gente chiedendo di invocare la benedizione di Dio su di lui come vescovo di Roma, invitando al silenzio. Ha fatto pregare la folla con le preghiere semplici dei fedeli. Ha usato un linguaggio pastorale riportando il pontificato al suo alveo pastorale: vescovo di Roma che è la chiesa che presiede la comunione tra le chiese. Ha dato così un'apertura ecumenica perché non ha mai usato il nome di papa, sottolineando il cammino da farsi insieme come vescovo e popolo, recuperando la categoria tanto cara al Concilio Vaticano II “il popolo di Dio”. Riferendosi al conclave e ai cardinali non ha usato il termine “signori” ma “fratelli cardinali”. Per tornare a Santa Marta, la sera dell’elezione, non ha voluto usare l'auto blu del vaticano ma ha preferito accomodarsi nell’autobus dei cardinali.
Quanti altri nuovi gesti nei giorni successivi! Il giorno dopo è andato a pregare ai piedi di Maria, la madre del Signore, e a prendersi le valige, lasciate nella casa del clero dove aveva alloggiato prima di entrare nel conclave, chiedendo di pagare il conto. A pranzo, nella casa di S. Marta, dove risiedono ancora tutti i cardinali, si sedeva dove trovava posto nei tavoli tra i fratelli cardinali. Dalla finestra dell'appartamento, durante il primo Angelus, ha augurato buon pranzo.

Sono tutte scelte che dicono un nuovo stile di essere papa sulla base della semplicità, povertà ed essenzialità della vita, così come lo richiede il Vangelo.
Questi piccoli ma grandi gesti hanno toccato profondamente la gente, in maniera tale che tutti ne parlano con stupore, cogliendone la portata di novità e di cambiamento sulla scia del grande poverello di Assisi. Ecco, perché ha scelto il nome di Francesco, come lui ci ha comunicato con l'impegno di non dimenticarsi dei poveri.
Ci troviamo di fronte alla forza enorme che hanno i segni di semplicità, di bontà, di povertà e di tenerezza. Infatti, è impressionante sentire quanta gente è rimasta toccata da questi gesti, suscitando tanta speranza. I mass media li raccontano ed evidenziano in maniera sorprendente.

Siamo di fronte alla realtà che aveva profetizzato il grande vescovo Tonino Bello quando affermava che la Chiesa deve far proprio il potere dei segni e non adottare i segni del potere: “Ecco perché non dobbiamo più avere i segni del potere ma il potere dei segni! Non per smania di originalità, ma solo e soltanto per esigenza evangelica!”.

Questi segni nuovi del nuovo vescovo di Roma, papa Francesco, rivelano, senza dubbio, che siamo di fronte a dei segni dei tempi che la nostra Chiesa deve interpretare e mettere in atto come Nuovi Stili di Chiesa, potendo così realizzare il sogno di Tonino Bello: la Chiesa del grembiule e non più la Chiesa del potere.

Tramonte (Padova), 17 marzo 2012


Adriano Sella
(missionario e discepolo di Gesù cristo)

Perez Esquivel: vi racconto papa Francesco


Giulia Cerqueti intervista il premio Nobel per la pace Perez Esquivel sul cardinale Bergoglio - papa Francesco 

http://www.famigliacristiana.it/chiesa/news_1/video/perez-esquivel-vi-racconto-papa-francesco.aspx

mercoledì 20 marzo 2013

19 marzo: introduzione di don Matteo Pasinato alla serata dedicata all'incontro con Adolfo Pérez Esquivel


Sono convinto che il mondo oggi ha bisogno di pace. Il fatto che ci troviamo qui a parlare della pace, ad ascoltare qualcosa sulla pace … rischia di riempire un’illusione. L’illusione del parlare e dell’ascoltare. Ci sono troppi strumenti che ci stanno costruendo come “spettatori” del mondo. Seduti – anche questa sera – ad essere spettatori. Spettatori che guardano uno spettacolo: a chi piace la pace … sceglierà questa serata. E se ne andrà contento (almeno qualcuno che ancora parla della pace). Oppure se ne andrà scontento (perché nel parlare non è entrato questo o quello, perché non si è condannato qualcosa, perché non si è denunciata con parole chiare una posizione diversa). Allo stesso modo possono trovarsi seduti – da un’altra parte – altri spettatori che preferiscono un altro spettacolo. Che parlano delle operazioni militari come “azioni di pace”, che vedono solo il realismo di economie che ruotano attorno alle armi, non importano se sono armi visto che si tratta di economie, di guadagni e posti di lavoro e commercio … e future economie di ricostruzione.
Forse semplifico troppo, ma ciò che ha in comune l’uomo che preferisce i discorsi sulla pace e l’uomo che preferisce i discorsi sulla rassegnazione all’inevitabilità della non pace, è il fatto che tutti e due sono “spettatori”.
Quello che manca, e questa sera invece è una possibilità, è vedere un uomo pacifico. Un soggetto di pace. Non uno spettatore … ma un attore. Uno che la pace la vive dentro di sé … e la racconta, ma la pace non aumenta in proporzione di quanto ne parla … e non diminuisce la pace che ha dentro se anche il mondo intero andasse nella direzione opposta.
Una chiesa che parla di pace non mi soddisfa del tutto … come si può parlare del vangelo senza averlo dentro … così si può parlare della pace senza averla dentro.
Io soggetto di pace? Questa si è una questione seria … persona di pace al punto da essere in pace perfino se una base è costruita dentro alla nostra città; al punto da essere in pace con cristiani coraggiosi che denunciano manovre di menzogna con cui ogni operazione militare viene protetta … al punto da essere in pace anche con chi ha paura di esporsi. Ma con una cosa soltanto non potrà essere in pace chi è “soggetto di pace”: del suo essere diventato spettatore. Lo spettatore della pace quando non sente parlare di pace rischia di deprimersi (e lottare una guerra per la pace), lo spettatore quando sente parlare di pace rischia di credere che tutto è stato detto (e smettere di pacificarsi con le proprie comode reazioni personali).
Intendevo solo suggerire una semplice attenzione: proviamo ad uscire dalla logica dello “spettatore”, Adolfo Perez Esquivel non è uno spettacolo (mi piace … non mi piace / a favore di chi parla? Contro chi parla?). È una persona che, parlandoci, può aiutarci a misurare quanta pace c’è dentro ciascuno … senza deprimerci e senza pensare che sia sufficiente che stasera se ne sia parlato.
Un po’ come la nuova base miliare nella nostra Vicenza. Si sono predisposte strutture di guerra? Ora sarà il tempo anche delle strutture di pace? Chi crede nel Cristo della Pasqua, non è lasciato in pace. Perché sa che anche il più sigillato sepolcro non può nulla contro la forza della Risurrezione. «Vi do la mia pace». Cristo ha dato la pace dopo il sepolcro … e noi dovremmo cercare la pace prima che si riempiano ancora troppi sepolcri, di vittime innocenti e di vittime militari. L’unica cosa che non è mai vittima sono le armi … l’unica cosa che dovremmo seppellire, nel nome dell’uomo e nel nome di Dio.

mercoledì 6 marzo 2013

Adolfo Pérez Esquivel

Dios no mata. Intervista a Adolfo Pérez Esquivel, premio nobel per la pace.

(pubblicato su “L’Adige” del 3 luglio 2012, pag.13 - originale)

L’uomo, non potendo «uccidere» Dio, lo allontana come fosse uno straniero con il «foglio di via». Invece «Dio non uccide».
«Dios no mata» è la frase che Adolfo Pérez Esquivel, (premio Nobel per la pace 1980, nato nel 1931 a Bueons Aires) aveva visto scritta con il sangue in una prigione, detta «tubo» perché molto bassa. L’aveva scritto qualcuno che, come lui, era stato incarcerato e torturato dal regime dittatoriale del presidente Videla, nel 1977. Esquivel sarà a Trento questa sera (ore 20.30, Sala grande del Castello del Buonconsiglio; modera Francesco Comina del Centro Pace di Bolzano) e per l’occasione sarà presentato il libro «Dio non uccide» di Arturo Zilli (editore Il Margine). Il libro ricostruisce la biografia di Esquivel, segnata da un grande impegno profetico per la non violenza, unita alla pratica della teologia della liberazione.
Oggi è presidente del Tribunale permanente per i diritti dell’uomo e del Servizio pace e giustizia, organizzazione internazionale (la referente italiana, Grazia Tuzi, lo sta accompagnando in questa serie di incontri italiani). La Provincia di Trento attualmente sta sostenendo un suo progetto a Buenos Aires per un centro giovanile.
Ma molti sono i segnali di «restaurazione» in America Latina.
Sembra si voglia porre fine alla stagione dei governi democratici: Esquivel ha già avuto modo di segnalarlo prendendo una posizione di netta condanna alla cerimonia in omaggio al dittatore Pinochet avvenuta in Cile con l’appoggio del governo di Sebastián Piñera. Gli abbiamo domandato quale sia la situazione attuale:

 «L’America Latina vive un momento di forti contraddizioni: c’è stato un golpe di stato in Honduras, attualmente anche in Paraguay, ci sono difficoltà in Guatemala, Salvador. Un situazione piuttosto grave c’è in Colombia, in Messico, con gravi violazioni dei diritti umani e una democrazia troppo “formale” e poco reale. Più che una democrazia consolidata c’è una apparenza di democraticità: guardiamo ad esempio al Cile, con la forte repressione degli studenti. Un Paese che dice di applicare leggi “anti-terrorismo”, ma nasconde il “terrorismo di Stato”. Anche in Colombia, in Honduras, in Argentina: ci sono delle forti repressioni dei movimenti sociali. I governi autoritari si stanno rinforzando, a discapito della democrazia. La situazione dei diritti umani in Messico, anche se a breve ci saranno nuove elezioni, non credo che cambierà di molto. Questo il panorama attuale: la crisi economica generale inoltre ci dice che la povertà si potrebbe superare solo con delle serie politiche sociali».
Un bilancio sulla presidenza di Obama: cosa ha fatto per l’America Latina e per la pace?
«Non sta facendo nulla. Non ha terminato la guerra in Iraq e Afghanistan e in America Latina sta imponendo e sostenendo i regimi militari in tutto il continente, senza cambiare atteggiamento con Cuba. Obama non ha modificato assolutamente nulla».
Lei non si era illuso, come molti, che le cose potessero cambiare con la presidenzadi un nero democratico?
«Non ha il potere: ha la presidenza. Il potere vero è nelle mani delle grandi corporazioni economiche e del complesso industriale di tipo militare».

In «Dios no mata», il libro, si parla anche del periodo in cui lei fu torturato in prigione: cosa le resta di quella tremenda esperienza?
«È stata appunto una esperienza di vita: mi definisco un “apprendista” della vita. E la violenza subita fa parte della mia vita».

Un’esperienza positiva, invece, è stato l’incontro con la teologia della liberazione. Pensa che quel metodo di interpretare il cristianesimo sia ancora valido oggi?
«La intendo come il cammino dei popoli: ha la capacità di mettere assieme il sentire autentico dei cristiani e la loro spiritualità con un’azione concreta nella vita. La radice della teologia della liberazione: mettere in pratica il principio evangelico “ama il tuo prossimo come te stesso”». 

Dio non uccide, ma, pensando anche alla vicenda di Gesù Cristo, l’uomo uccide Dio.
«Mi sembra un’eccellente questione: il fatto è che siccome l’uomo non riesce a uccidere una volta per tutte Dio, allora lo allontana, rendendolo uno “straniero” da espellere dalla propria società. Invertiamo questa tendenza e facciamo in modo che Dio non si senta uno straniero in mezzo a noi».

Guardando all’Europa di oggi: la crisi economica sembra l’unica vera preoccupazione; il Pil, la crescita. Quali valori invece dovrebbero rifiorire secondo Esquivel?
«Noi in America Latina viviamo da tempo questa crisi economica. Una crisi permanente. Ormai è come una sorella maggiore. A tratti la amiamo e spesso la odiamo. Crisi deriva da “crescita”, da una crisi può nascere Pérez Esquivel, «Nobel» per avere denunciato gli abusi della dittatura militare argentina negli anni ’70 una evoluzione, verso una nuova vita. Oppure possiamo retrocedere. Di fronte alla crisi dobbiamo diventare creativi. Per esempio: l’Europa che ha tanti problemi, potrebbe guardare al sistema delle “fabbriche recuperate” che abbiamo messo in pratica noi in America Latina. Dove, tramite la partecipazione popolare, non si scambia più il lavoro con la merce. Ma si produce anche cultura, arte. Perché il problema della crisi non è solo economico: la crisi è dei valori. Siamo in una società ormai quasi totalmente indirizzata verso l’individualismo. Dobbiamo recuperare il concetto di “comunità” e di partecipazione sociale. Tutti pensano che il male sia economico: ma il problema centrale è che il “prezzo” di una merce e il valore non sono la medesima cosa. Recuperare il valore non ha un "prezzo"».