primo settembre 2014
“Educare alla custodia
del creato, per la salute
dei nostri paesi
e delle nostre città”
«Si spergiura, si dice il falso, si uccide, si ruba, si commette
adulterio, tutto questo dilaga e si versa sangue su sangue.
Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue, insieme con gli animali
selvatici e con gli uccelli del cielo; persino i pesci del mare periscono” (Os 4,2-3).
Sembra scritta per i nostri tempi questa tremenda pagina di
Osea. Raccoglie tante nostre dolorose analisi e ben descrive lo smarrimento
che vivono molti territori inquinati in Italia e nel mondo. Se infatti viene spezzata
l’armonia creata dall’alleanza con Dio, si spezza anche l’armonia con la
terra che langue, si diventa nemici versando sangue su sangue e il nostro cuore
si chiude in paura reciproca, con falsità e violenza...
il messaggio completo
domenica 31 agosto 2014
giovedì 28 agosto 2014
Campagna per il disarmo e la difesa civile
Obiettivo della Campagna è dare piena attuazione all'articolo 52 della
Costituzione (“la difesa della patria è sacro dovere del cittadino”) che
non è mai stato applicato veramente, perché per difesa si è sempre
intesa solo quella armata, affidata ai militari, mentre la Corte
Costituzionale ha riconosciuto pari dignità e valore alla difesa
nonviolenta, come avviene con l'istituto del Servizio Civile nazionale.
La difesa civile, non armata e nonviolenta è difesa della Costituzione e dei diritti civili e sociali che in essa sono affermati; preparazione di mezzi e strumenti non armati di intervento nelle controversie internazionali; difesa dell’integrità della vita, dei beni e dell’ambiente dai danni che derivano dalle calamità naturali, dal consumo di territorio e dalla cattiva gestione dei beni comuni.
Il disegno di Legge istituisce un Dipartimento che comprenderà il Servizio civile, la Protezione Civile, i Corpi civili di pace e l'Istituto di ricerche sulla Pace e il Disarmo.
Il finanziamento della nuova difesa civile dovrà avvenire grazie all'introduzione dell'”opzione fiscale”, cioè la possibilità per i cittadini, in sede di dichiarazione dei redditi, di destinare il 6 per mille alla difesa non armata. Inoltre si propone che le spese sostenute dal Ministero della Difesa relative all’acquisto di nuovi sistemi d’arma siano ridotte in misura tale da assicurare i risparmi necessari per non dover aumentare i costi per i cittadini.
Lo strumento politico della legge di iniziativa popolare vuole aprire un confronto pubblico per ridefinire i concetti di difesa, sicurezza, minaccia, dando centralità alla Costituzione che “ripudia la guerra” (art. 11).
La Campagna è stata presentata il 25 aprile 2014 in Arena di pace e disarmo; viene lanciata in occasione del 2 giugno 2014, Festa della Repubblica; la raccolta delle 50.000 firme necessarie inizierà il 2 ottobre 2014, Giornata internazionale della Nonviolenza, e si concluderà dopo 6 mesi.
***
Rete Italiana per il Disarmo – Controllarmi
www.disarmo.org
Conferenza Nazionale Enti di Servizio Civile – CNESC
www.cnesc.it
Forum Nazionale per il Servizio Civile – FNSC
www.forumserviziocivile.it
Tavolo Interventi Civili di Pace – ICP
www.interventicivilidipace.org
Campagna Sbilanciamoci!
www.sbilanciamoci.org
Rete della Pace
www.retedellapace.it
La difesa civile, non armata e nonviolenta è difesa della Costituzione e dei diritti civili e sociali che in essa sono affermati; preparazione di mezzi e strumenti non armati di intervento nelle controversie internazionali; difesa dell’integrità della vita, dei beni e dell’ambiente dai danni che derivano dalle calamità naturali, dal consumo di territorio e dalla cattiva gestione dei beni comuni.
Il disegno di Legge istituisce un Dipartimento che comprenderà il Servizio civile, la Protezione Civile, i Corpi civili di pace e l'Istituto di ricerche sulla Pace e il Disarmo.
Il finanziamento della nuova difesa civile dovrà avvenire grazie all'introduzione dell'”opzione fiscale”, cioè la possibilità per i cittadini, in sede di dichiarazione dei redditi, di destinare il 6 per mille alla difesa non armata. Inoltre si propone che le spese sostenute dal Ministero della Difesa relative all’acquisto di nuovi sistemi d’arma siano ridotte in misura tale da assicurare i risparmi necessari per non dover aumentare i costi per i cittadini.
Lo strumento politico della legge di iniziativa popolare vuole aprire un confronto pubblico per ridefinire i concetti di difesa, sicurezza, minaccia, dando centralità alla Costituzione che “ripudia la guerra” (art. 11).
La Campagna è stata presentata il 25 aprile 2014 in Arena di pace e disarmo; viene lanciata in occasione del 2 giugno 2014, Festa della Repubblica; la raccolta delle 50.000 firme necessarie inizierà il 2 ottobre 2014, Giornata internazionale della Nonviolenza, e si concluderà dopo 6 mesi.
***
Rete Italiana per il Disarmo – Controllarmi
www.disarmo.org
Conferenza Nazionale Enti di Servizio Civile – CNESC
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Forum Nazionale per il Servizio Civile – FNSC
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mercoledì 27 agosto 2014
I poveri? S’arrangino...
"Nella guerra
che imprese dell'agrobusiness, Stati e Wto [Organizzazione Mondiale per il Commercio] hanno dichiarato ai popoli,
Usa e Ue impediscono all'India di produrre e stoccare cibo per i più
poveri, quando scarseggia. Solo in questi casi l’India è nazionalista e
antidemocratica", Alberto Zoratti [biologo e giornalista freelance, si occupa di
cambiamento climatico e di economia solidale e internazionale per
l'organizzazione equosolidale]
Un articolo di Monica Di Sisto
tratto da http://comune-info.net/2014/08/poveri-wto/
|
3 agosto 2014 |
Sovranità alimentare e commercio internazionale non parlano la stessa lingua, e quando tenti di difendere la prima, devi per forza rinunciare a sparare cassette e derrate a casaccio per il mondo e ricominciare a parlare di regole vincolanti per tutti. E’ questa la conclusione prevedibile – almeno per chi scrive – che si deve trarre dall’ennesimo collasso annunciato dell’Organizzazione mondiale del commercio. Il 31 luglio era la data fissata con gran frastuono nella Conferenza ministeriale di Bali del dicembre scorso, come momento in cui i 160 Paesi membri avrebbero dovuto fissare nuove regole per rendere il passaggio delle merci più fluido alle frontiere (chiudendo con un accordo finale il cosiddetto negoziato sulla Trade facilitation).
Se il commercio accelera per i grandi esportatori, però, è logico che si debbano prevedere misure più efficaci per salvaguardare i mercati interni, soprattutto quando è a rischio la sicurezza alimentare, nel caso qualcosa vada storto. Era per questo – oltre che per difendere i propri interessi di grande produttore ed esportatore agricolo, che l’India aveva puntato i piedi chiedendo di approvare in quella stessa data, e non il 31 dicembre come previsto a Bali, un pacchetto di misure che le permettessero in via permanente altrettanto facilmente di pagare sussidi per produrre e stoccare cibo per i più poveri, quando in patria cominciasse a scarseggiare.
Finita l’euforia della vacanza esotica, quando i negoziatori sono tornati al quartier generale della Wto, sulle ordinarie sponde del lago di Ginevra, gli Stati Uniti insieme ai grandi esportatori – Europa compresa – hanno fatto la voce grossa, cercando di chiudere le facilitazioni al commercio senza nulla concedere nel negoziato agricolo. L’India e i Paesi più poveri schierati insieme a lei sono stati minacciati di venire indicati come i responsabili unici del mancato rilancio della Wto sbandierato a Bali e dello sprofondare dell’organizzazione nella vecchia crisi di credibilità in cui versa dai tempi del fallimento della ministeriale di Seattle, cioè da ben quindici anni.
Un esecutivo da poco del tutto rinnovato a furor di popolo non può presentarsi, però, a quella maggioranza di cittadini indigenti che l’ha appena votato ammettendo che la Wto potrebbe costringerlo a bloccare le misure che consentono loro, il più delle volte, di mettere insieme almeno un pasto al giorno. “Non siamo stati capaci di trovare una soluzione – ha ammesso sconsolato il direttore generale della Wto Roberto Azevedo, costatando l’impossibilità di piegare la resistenza indiana – abbiamo provato di tutto ma è risultato impossibile. La mia sensazione è che questo non sia l’ennesimo ritardo che possa essere ignorato o aggiustato in nuove scadenze – ha detto agli ambasciatori riuniti a Ginevra il 31 luglio – E mi sembra che le conseguenze potrebbero essere significative ”.
In effetti il ministro al commercio degli Stati Uniti Mike Froman, lo stesso portabandiera dell’Accordo di liberalizzazione transatlantico Usa-Ue (T-tip/Tafta), ha minacciato il “piccolo gruppo di Paesi” (cioè India, più Bolivia, Cuba, Zimbabwe , ma anche altri grandi esportatori come Sudafrica e Venezuela) promotore del blocco che non sarebbe sopravvissuto alla fine dell’accordo di Bali da esso provocato. Gli Stati Uniti infatti, ha continuato Froman, sarebbero andati avanti per la strada tracciata consultando bilateralmente i propri partners commerciali. Insomma: cari tutti, o accettate i nostri diktat, o ce la vedremo faccia a faccia, nella migliore tradizione negoziale degli Usa, con buona pace di quel sistema multilaterale amato a parole da tutti, ma che nei fatti bypassiamo da ogni dove.
Pieno sostegno a questa posizione è arrivato dal mondo del business: John Danilovich, segretario della Camera di commercio internazionale, ha spiegato che come imprese “non possiamo affrontare un periodo di riflessione esistenziale su quello che questo stallo comporta per il futuro della Wto”. Quindi bisogna che la politica si rimbocchi le maniche e superi la crisi. A sostegno della posizione indiana solo associazioni, sindacati e organizzazioni umanitarie. Ma è possibile? E’ pensabile che un’organizzazione che ha fallito ben 27 deadlines in più di dieci anni non tragga le conclusioni dovute da queste empasse? Possibile che gli Usa possano ancora minacciare apertamente di spostare le proprie decisioni su altri tavoli, forzando regole che essi stessi hanno contribuito a imporre, e non si prenda atto del fatto che per un Governo rispettare i diritti fondamentali dei propri cittadini non è compatibile con l’essere membro della Wto, e che è quindi la struttura stessa dello strumento “commercio internazionale” a dover essere piegata se vogliamo riuscire a garantire un futuro a tutti?
Il neoeletto governo indiano lo aveva affermato a chiare lettere: finché il suo programma di sostegno e stoccaggio pubblico per la produzione e distribuzione di cibo ai più poveri non fosse stato messo stabilmente al riparo da possibili ritorsioni commerciali, non avrebbe fatto alcuna concessione al tavolo sulle facilitazioni al commercio. D’altronde le regole attuali della Wto prevedono un limite al valore dei sussidi agricoli consentiti agli Stati membri fissato al 10 per cento del valore totale della produzione alimentare. Ed è anche vero che quella percentuale è calcolata in base al valore rilevato vent’anni fa, alla fine dell’Uruguay Round, ed è quindi decisamente inferiore al valore dei sussidi che sarebbero ammissibili per l’India rifacendo i conti oggi, visto che la produzione indiana è esplosa negli ultimi dieci anni.
La base di trattativa dell’India era questa: aggiorniamo le cifre e possiamo discutere. Ma gli Stati Uniti e l’Europa, che in questi anni hanno pagato fior fiore di consulenze legali per lasciare i propri sussidi agricoli praticamente invariati riclassificandoli con nuove formulazioni come perfettamente legali agli occhi della Wto, non hanno alcuna intenzione di perdere il vantaggio commerciale che questo sottodimensionamento indiano gli ha attribuito. Gli altri Paesi emergenti, poi, non hanno alcuna intenzione di concedere terreno a un concorrente tanto agguerrito come l’India. A livello di procedure, per di più, per il principio della reciprocità assoluta che vige tra i membri della Wto, se si apre per l’India una finestra di autodeterminazione del mercato interno agricolo, questa potrebbe rimanere aperta per tutti i Paesi, in particolare quelli in crisi in cui l’agricoltura rappresenta il motore dell’economia e della sopravvivenza. In Asia, in Africa, come anche a casa nostra, con ulteriore smacco per gli esportatori che stanno lucrando da anni sulla fame dei Paesi dipendenti dalle importazioni e dagli aiuti alimentari.
Più facile e utile, in fin dei conti, accusare l’India nazionalista e antidemocratica di aver fatto collassare il sistema multilaterale. Un sistema di facciata e profondamente ingiusto, che o ripensa se stesso o morirà di morte naturale. Ucciso dal cinismo dei grandi esportatori, del loro cupio dissolvi rispetto ad un mostro da loro creato, e da loro stessi lasciato agonizzare proprio una delle poche volte in cui poteva servire a introdurre qualche elemento di equità in un mercato completamente piegato ai loro capricci e bisogni.
venerdì 8 agosto 2014
Una settimana di preghiera per la pace
dalla pagina:
http://www.vicenza.chiesacattolica.it/pls/vicenza/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=2026&rifi=guest&rifp=guest
Il Vescovo Beniamino invita tutti i cristiani della diocesi a non dimenticare le vittime delle guerre
Una settimana di preghiera per la pace: è questa l’impegno della Diocesi di Vicenza per non dimenticare i troppi conflitti armati che coinvolgono tante parti del mondo, dalla Terra Santa alla Nigeria, dalla Siria all’Ucraina. Ad oggi sono oltre 60 i Paesi in cui si soffre e si muore a causa di guerre, discriminazioni e attentati terroristici.
Dal 10 al 15 di agosto i cristiani della diocesi di Vicenza sono dunque invitati a pregare intensamente per la pace, sia singolarmente che a livello comunitario, partecipando alla Messa e alla recita del Rosario o ad altri momenti che verranno proposti nelle parrocchie. Alla preghiera il Vescovo chiede di unire anche qualche piccolo gesto di rinuncia, offerto al Signore per la pace del mondo. E tali rinunce (come ad esempio un giorno di digiuno) risulteranno tanto più significative perché collocate nel tempo tradizionalmente dedicato alle vacanze estive.
La settimana di preghiera per la pace si concluderà venerdì 15 agosto con la celebrazione della Solennità dell’Assunta in cui, su indicazione della Conferenza Episcopale Italiana, si ricorderanno in tutte le Messe i cristiani che in tante parti del mondo sono perseguitati e dunque soffrono e muoiono a causa della loro fede.
continua alla pagina:
http://www.vicenza.chiesacattolica.it/pls/vicenza/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=2026&rifi=guest&rifp=guest
http://www.vicenza.chiesacattolica.it/pls/vicenza/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=2026&rifi=guest&rifp=guest
Il Vescovo Beniamino invita tutti i cristiani della diocesi a non dimenticare le vittime delle guerre
Una settimana di preghiera per la pace: è questa l’impegno della Diocesi di Vicenza per non dimenticare i troppi conflitti armati che coinvolgono tante parti del mondo, dalla Terra Santa alla Nigeria, dalla Siria all’Ucraina. Ad oggi sono oltre 60 i Paesi in cui si soffre e si muore a causa di guerre, discriminazioni e attentati terroristici.
“Come Vescovo – ha scritto mons. Pizziol in un messaggio che domenica prossima 10 agosto verrà letto in tutte le chiese della Diocesi –
vi invito a condividere la mia angoscia per queste situazioni e a
pregare con fiducia per la conversione dei cuori, perché solo Cristo può
impedire all’umanità di sprofondare in questo abisso di violenza”.
Dal 10 al 15 di agosto i cristiani della diocesi di Vicenza sono dunque invitati a pregare intensamente per la pace, sia singolarmente che a livello comunitario, partecipando alla Messa e alla recita del Rosario o ad altri momenti che verranno proposti nelle parrocchie. Alla preghiera il Vescovo chiede di unire anche qualche piccolo gesto di rinuncia, offerto al Signore per la pace del mondo. E tali rinunce (come ad esempio un giorno di digiuno) risulteranno tanto più significative perché collocate nel tempo tradizionalmente dedicato alle vacanze estive.
“Non possiamo restare indifferenti davanti
a tutta questa violenza – ha dichiarato mons. Pizziol – e anche se
umanamente possiamo sentirci impotenti davanti a tali conflitti,
cristianamente sappiamo di poter sempre pregare e adoperarci a porre
gesti di bene, anche piccoli, ma ne siamo convinti, efficaci, perché il
male arretri. Solo la pace è la strada che porta alla soluzione di ogni
conflitto”.
La settimana di preghiera per la pace si concluderà venerdì 15 agosto con la celebrazione della Solennità dell’Assunta in cui, su indicazione della Conferenza Episcopale Italiana, si ricorderanno in tutte le Messe i cristiani che in tante parti del mondo sono perseguitati e dunque soffrono e muoiono a causa della loro fede.
continua alla pagina:
http://www.vicenza.chiesacattolica.it/pls/vicenza/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=2026&rifi=guest&rifp=guest
sabato 2 agosto 2014
6 e 9 agosto 1945
riproponiamo un articolo di Heinz Loquai apparso su Missione Oggi, n.7, agosto-settembre 2006, pp. 5-9
© MISSIONE OGGI
LA LEZIONE DI HIROSHIMA E NAGASAKI
Heinz
Loquai, generale di brigata ora in pensione, dal 1995 al 1999 ha
lavorato nella rappresentanza tedesca presso l'Osce a Vienna. Lo scorso
anno ha pubblicato il libro Il conflitto in Kosovo. Percorsi verso una
guerra evitabile (Nomos, Baden Baden 2000), in cui denuncia i crimini
di Milosevic, dell'Uck, della Nato. L'articolo è tratto da Horizons et
débats , n. 33, 2005.
“Il
6 ed il 9 agosto 1945, due bombe atomiche venivano sganciate su
Hiroshima e Nagasaki provocando centinaia di migliaia di morti. Le
ragioni di questo attacco sollevano a tutt'oggi una serie di problemi ai
quali è difficile dare una risposta univoca. L'ampiezza inimmaginabile
di tale annientamento di massa, fatto inedito all'epoca e mai più
ripetutosi, richiede una serie di spiegazioni. Nel corso di questi sei
decenni che sono trascorsi dalla distruzione di Hiroshima e Nagasaki, i
punti di vista non si sono per nulla riavvicinati; al contrario, si
continua a raccontare tale evento in diversi modi”. È quanto ha
affermato il direttore dell'Istituto tedesco di studi giapponesi di
Tokyo e insegnante di giapponese a Duisburg. Egli ha considerato
l'avvenimento sotto diverse angolazioni, studiando il problema e
mettendo in particolare risalto l'aspetto umano di tale catastrofe.
Il
programma atomico americano fu avviato nel 1939. Con l'intenzione di
prevenire la presunta forza militare della Germania, Albert Einstein
aveva messo in guardia il presidente Roosvelt contro il programma
atomico di Berlino. Altri scienziati, fuggiti anch'essi dall'Europa,
parteciparono alla messa a punto dell'arma atomica americana. Il primo
esperimento riuscito fu quello del 16 luglio 1945 nel deserto del New
Mexico, mentre la prima bomba fu lanciata il 6 agosto dello stesso anno
sull'ospedale Shima, nel centro di Hiroshima. Si produsse una
temperatura pari a 6000° Celsius. Circa 35% dell'energia liberata era
formata da calore, il 50% di pressione e il 15% di raggi radioattivi. Il
calore provocò le bruciature più gravi in un raggio di 3,5 chilometri a
partire dall'epicentro dell'esplosione.
Un fuoco gigantesco incenerì tutto nel raggio di 2 chilometri :
in tutto furono distrutte 70mila abitazioni e l'80% degli ospedali
della città. Le radiazioni coinvolsero tutte le persone che si trovavano
in un raggio di 900 metri , o carbonizzandole o facendole morire nel
giro di qualche giorno. Tutte la gente che si trovava più lontano morì
in seguito dopo atroci sofferenze. Il numero totale delle vittime
raggiungerà le 250mila unità.
Queste
cifre permettono forse di renderci conto dell'orrore, delle sofferenze,
del terrore da loro provato? Il fatto è che il lavoro dei migliori
fisici, tecnici e addetti alla logistica militare, così come un
colossale investimento di due miliardi di dollari (valore anteguerra),
avevano reso possibile la cosa.
Il
“Progetto Manhattan” - questo è il nome che fu dato al progetto atomico
statunitense - doveva mettere a punto una nuova arma. Ma non si sapeva
esattamente se il suo uso fosse militarmente necessario. Basandosi su
numerose ricerche, lo studioso Florian Coulmas (Hiroshima - Geschichte und Nachgeschichte ,
Munchen 2005) ha scritto che “la maggioranza degli scienziati impiegati
nel progetto contestavano tale implicazione”. Nell'estate del 1945 il
Giappone era militarmente all'estremo. Inoltre Stalin, durante la
Conferenza di Yalta, aveva confermato a Roosvelt che sarebbe entrato in
guerra contro il Giappone solo tre mesi dopo la sua vittoria sulla
Germania. Truman, che era diventato presidente degli Stati Uniti dopo la
morte di Roosvelt nell'aprile dello stesso anno, alla fine della
guerra, si sarebbe giustificato affermando che le bombe atomiche avevano evitato un'invasione militare del Giappone
salvando così la vita a centinaia di migliaia di soldati americani; si
parlò addirittura di due milioni. Naturalmente, tale discorso ha
costituito sino ad oggi la migliore giustificazione dell'uso della
bomba, anche se sappiamo come alcuni ufficiali superiori non avevano
valutato per nulla necessario l'uso di tale ordigno. Coulmas cita lo
stesso Eisenhower, comandante supremo delle truppe alleate in Europa,
divenuto più tardi presidente degli Stati Uniti. “Credo - ebbe a dire -
che il nostro Paese doveva evitare di urtare l'opinione pubblica
mondiale con l'uso dell'arma nucleare che, a mio parere, non era più
necessaria per salvare vite americane”. Lo stesso ammiraglio William
Leahy avrebbe più tardi espresso la sua opinione in merito: “Il Giappone
era già sconfitto e si apprestava a capitolare. L'uso di queste armi
barbare non servirono per niente ad aumentare la nostra forza militare
contro il Giappone. E averle usate per la prima volta ha voluto dire che ci eravamo appropriati di modi barbari …”. A questo punto è evidente che c'erano delle alternative e che Truman ne era a conoscenza.
L'ASPETTO POLITICO
“Gli
storici sono inclini a pensare, oggi, che le ragioni politiche siano
state prevalenti nel fare quella scelta”. Una serie di episodi ricordati
da Coulmas viene a confermare tale tesi.
Roosvelt
diede l'ordine di costruire una bomba atomica il 6 dicembre del 1941,
il giorno prima dell'attacco giapponese contro Pearl Harbor. Il
presidente Truman apprese del “Progetto Manhattan” il 25 aprile del
1945, quindi poco prima della capitolazione della Germania. In quel
periodo, la politica americana dominava di già il nuovo ordine europeo e
l'Unione Sovietica era ancora un suo alleato. La Conferenza di Potsdam
(17 luglio-2 agosto 1945), durante la quale le potenze vincitrici
dovevano discutere sul futuro ordine europeo, era stata prevista per
giugno. Su iniziativa di Truman essa fu rinviata a fine luglio. Un tempo
utile per portare a termine la costruzione della bomba.
Tale
arma aveva un chiaro significato per la politica statunitense:
prioritariamente, essa prometteva una vittoria degli Stati Uniti sul
Giappone senza il concorso dell'Unione Sovietica, e ciò avrebbe
rafforzato la posizione dell'America in Europa nei confronti di Mosca.
Le manovre politiche americane lasciano supporre che Washington differì
volutamente l'armistizio col Giappone al fine di poter usare la bomba.
All'epoca, i rapporti con l'Unione Sovietica, che successivamente
sarebbe stata identificata come il suo maggiore avversario, rivestivano
una grande importanza. “In quanto unica potenza atomica, gli Usa
potevano opporsi a ogni velleità espansionistica dell'Unione Sovietica. Ma bisognava mostrare che la bomba funzionasse e che Washington era pronta ad utilizzarla .
Questa è la principale ragione per la quale Truman abbandonò l'idea di
parlare di pace con Tokio. Alla Conferenza di Potsdam, Stalin aveva
dichiarato che l'Urss sarebbe entrata in guerra contro il Giappone l'8
di agosto; ma gli Usa non volevano ciò. Dopo che i governanti
giapponesi, che non potevano sapere cosa significasse realmente l'uso
della forza nucleare, ebbero ignorato l' ultimatum americano
(26 luglio), Hiroshima fu bombardata il 6 di agosto, immediatamente dopo
la scadenza del termine fissato da Washington. L'8 agosto l'Urss
dichiarava guerra al Giappone. L'indomani una seconda bomba atomica
distruggeva Nagasaki. Questo atto doveva dimostrare a Stalin e al mondo
che la prima bomba non era l'unica in possesso degli Usa”.
L'ASPETTO UMANO
Non
si saprà mai esattamente il numero delle vittime dei due ordigni. Sono
state pubblicate molte cifre. Secondo un rapporto destinato alle Nazioni
unite, la città di Hiroshima, a tutto dicembre del 1945, ebbe 140mila
morti. Quelli di Nagasaki pare siano stati tra i 70 e 80mila. Il numero
delle vittime decedute successivamente raggiunse le 350mila unità per
Hiroshima e 270mila per Nagasaki.
Come
ricorda ancora Coulmas: “le sofferenze umane inflitte furono
intenzionali. L'idea di sganciare la bomba su delle istallazioni
militari o su una regione inabitata per mostrare i suoi effetti, fu
rigettata. Dopo la guerra, le forze d'occupazione impedirono ogni
notizia sui sopravissuti delle città bombardate, soprattutto per quanto
riguarda lo scambio di informazioni su ciò che si faceva nei rari
ospedali scampati alla distruzione atomica. I dossier stesi dai medici, i campioni di sangue e di tessuti da loro prelevati dalle vittime, furono confiscati e l'amministrazione giapponese fu costretta a rinunciare all'aiuto medico offerto dalla Croce Rossa internazionale …Truman
riconobbe pubblicamente che detestava i “japs” (termine dispregiativo
con cui si indicava i giapponesi) mentre uno stimato storico americano,
John Dower, li aveva presentati come dei sotto uomini. Questo serviva a
preparare il terreno a un atteggiamento favorevole al bombardamento
condiviso dalla totalità dei media , quale che fosse la loro
tendenza politica”. La sofferenza delle vittime del bombardamento fu
ulteriormente aggravata a causa delle discriminazioni che dovettero
subire in Giappone. “Furono stigmatizzate ed emarginate. La paura e
l'ignoranza ne furono la causa. Le conoscenze degli effetti delle bombe
si fondavano essenzialmente sulle voci che giravano. Dopo l'occupazione,
i governanti giapponesi fecero ben poco per informare. Le malattie
contratte vennero per lungo tempo considerate contagiose. I
sopravvissuti vennero chiamati hibakusha e il loro aspetto
fisico divenne uno stigma sociale”. Per dare il senso della sofferenza
umana bisogna anche ricordare ciò che generalmente non è associato a
Hiroshima: le vittime coreane . A causa dei due bombardamenti, si stimano dai 20 ai 30mila morti. Si trattava di lavoratori spostati a forza dai giapponesi dopo l'annessione del loro Paese .
Per lungo tempo tali vittime non sono state menzionate in occasione
della commemorazione annuale del bombardamento, a dimostrazione della
persistente discriminazione che avevano dovuto subire già dai tempi
della colonizzazione.
HIROSHIMA, I MEDIA E L'IMMAGINARIO
“La
censura americana fu sistematica. Nessuno doveva scrivere di Hiroshima e
Nagasaki”. Fino al termine dell'occupazione, nel 1952, fu proibito
mostrare le foto delle due città distrutte. Una stringente censura
americana sui media locali, si esercitò per ben sette anni ma
ha avuto un peso anche nel periodo successivo alla fine
dell'occupazione. I giornali statunitensi, dal canto loro, furono tutti
disposti a legittimare l'uso della bombardamenti. Essi propagandavano la leggenda secondo la quale le due bombe avevano posto fine alla guerra salvando milioni di soldati americani .
Non erano interessati invece a raccontare le sofferenze inflitte alla
popolazione locale. Per la stampa, Hiroshima era una ”base militare” e
le bombe avevano distrutto fabbriche d'armamenti e installazioni
portuali militari. “La rivendicazione degli americani di aver condotto
una guerra morale combattuta contro il Male, contrariamente ai suoi
nemici”, è passata come una ricostruzione obiettiva dei fatti. I media si sono mostrati docili strumenti nelle mani della propaganda governativa.
Coulmas
ha analizzato i libri scolastici americani e giapponesi . Dopo
sessant'anni gli avvenimenti di Hiroshima e Nagasaki sono presentati in
modo molto differente soprattutto per quanto concerne gli insegnamenti
che invitano a tirare. I testi giapponesi, esclusa qualche eccezione,
insistono sulle conseguenze catastrofiche del militarismo imperiale e di
una politica che considerava la guerra come un'azione legittima.
L'insegnamento di Hiroshima è per loro il rifiuto della guerra in quanto
tale. Invece la lezione che traggono i manuali di storia americani è
che l'uso del mezzo militare non è solo legittimo ma sovente necessario.
Le bombe lanciate sulle due città giapponesi non sono considerate
come un'eccezione: fanno parte di una guerra giusta e necessaria per
conseguire un successo. Lo Stato americano ha attivamente
dissimulato le informazioni sulle vittime del bombardamento atomico,
mentre quello giapponese ha sino a oggi assunto un atteggiamento
opportunistico, non volendo arrivare a una contrapposizione con
Washington sulla questione di Hiroshima.
Dopo
Hiroshima, gli Stati Uniti sono stati il Paese più coinvolto nei vari
conflitti che hanno interessato il mondo. L'ideologia della guerra
giusta fa parte dell'identità collettiva americana. Essa è servita a
giustificare i bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki. Ieri come oggi la
comunità americana si regge sulla rivendicazione di una propria
superiorità morale. Per lei una guerra non è un conflitto tra due
avversari a cui si riconoscono gli stessi diritti, ma tra il Bene e il
Male, come in una crociata. Il Bene si deve allora esportare se no
l'ordine mondiale ne soffrirà. E il Bene è incarnato proprio negli Stati
Uniti. La giustificazione - ad esempio l'attacco giapponese di Pearl
Harbor - può allora dissimulare nella memoria collettiva i crimini
commessi come è il caso del bombardamento atomico sulle due città
giapponesi. Così, a differenza della guerra materiale, quella spirituale
non è ancora terminata. Hiroshima resta, a sei decenni di distanza, una
vicenda controversa.
HEINZ LOQUAI
LE ATOMICHE DEGLI ALTRIL'Urss ha sperimentato la sua prima bomba A nel 1949 e la prima bomba H nel 1953; la Gran Bretagna ha fatto esplodere il suo primo ordigno a fissione nel 1952 e la prima bomba a fusione nel 1957; per la Francia , le date sono 1960 e 1968; per la Cina , 1964 e 1967: Inoltre, la Francia ha fornito a Israele, nel 1956, il reattore e l'impianto di ritrattamento di Dimona, da dove è uscito il plutonio delle sue prime armi, e il Canada ha consegnato all'India, nel 1955, il reattore ad acqua pesante che ha prodotto il plutonio delle prime bombe indiane.Il Pentagono e la forza nucleare preventivaIl Ministero della difesa americano sta esaminando un progetto di una nuova dottrina militare che raccomanda gli attacchi nucleari preventivi. Come ha dichiarato un alto funzionario del Pentagono, il documento, reso pubblico nel marzo dello scorso anno, è stato elaborato in relazioni ai cambiamenti intervenuti nel mondo dopo l'11 settembre del 2001. Il progetto prevede una forza nucleare preventiva contro quegli Stati o quei gruppi estremisti che preparano un attacco contro gli Stati Uniti o i suoi alleati per mezzo di armi di distruzioni di massa. Tali “armi nucleari preventive” potranno inoltre essere usate per mettere fine anche alle guerre tradizionali per garantire così il successo delle operazioni militari delle truppe americane o internazionali. Infine, gli Usa potranno eventualmente farne ricorso contro quegli Stati che forniranno armi nucleari, biologiche o chimiche a gruppi estremisti. In questo modo la nuova dottrina permetterà al Pentagono di usare le sue armi nucleari in tutte quelle regioni del mondo che egli valuterà essere in pericolo.
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