lunedì 31 ottobre 2016

Dalla Commissione diocesana per la pastorale sociale

RIFLESSIONI DOPO IL CONVEGNO

 Le armi comuni in Italia e nell'Unione Europea:
dati, analisi e prospettive”

tenutosi a Vicenza, giovedì 20 ottobre 2016 – Palazzo Trissino 

La Commissione diocesana per la Pastorale Sociale: Lavoro, Giustizia e Pace, Salvaguardia del Creato ha condiviso fin da subito la preoccupazione sollevata da alcune associazioni in occasione della manifestazione fieristica Hit Show, che a febbraio 2017 sarà a Vicenza per la sua terza edizione.

La mostra mette insieme armi di difesa personale e riservate alle forze dell'ordine con quelle per il tiro sportivo, per le attività venatorie e per il collezionismo; senza distinzione di ambiti, il rischio è di ingenerare confusione, soprattutto tra i minori che, pur accompagnati, possono visitare l’esposizione. Esporre armi non significa solo mostrare dei prodotti, ma “esporsi” ad una mentalità, predisporre uno stile. Per cui, senza una corretta informazione sul fatto che non tutte le armi sono uguali e senza corretti percorsi educativi, si rischia di legittimare una cultura della violenza, che parte dai mezzi violenti per arrivare alla testa delle persone.

Sulla fiera di Vicenza esiste un piano industriale e si presenta l'evento HIT Show come eccellenza italiana: per gli affari, per la partecipazione dei grandi marchi internazionali e per le presenze, a detta degli organizzatori, in crescente aumento. Una logica di mercato, che persegue il business, deve convergere con qualche preoccupazione etica o domanda educativa e culturale, ragionando sull'accesso di visitatori che non abbiano compiuto la maggiore età. È pur vero che la pubblicità ordinaria nei mezzi di comunicazione non prevede la pubblicità di alcun tipo di armi, e questo risulta significativo.

Come già esplicitato in una Lettera aperta sottoscritta a febbraio 2016 da numerose associazioni, è urgente riflettere sul tipo di società che vogliamo costruire, perché crediamo che i conflitti possano essere risolti con il dialogo e le relazioni costruttive, non con il possesso di un'arma come forma di sicurezza e difesa. Sentiamo prioritario educare ad una vita buona e alla nonviolenza.

In occasione del Convegno promosso dal Comune di Vicenza il 20 ottobre sulla produzione, commercializzazione e controllo alla diffusione delle armi, la Commissione di Pastorale sociale evidenzia particolarmente l’affermazione presente nello Statuto del Comune di Vicenza, che si impegna a “promuovere una cultura della pace e dei diritti umani mediante iniziative culturali e di ricerca, di educazione e di informazione e con il sostegno alle associazioni” (art. 2). Il Convegno del 20 ottobre è stato sicuramente un momento importante di conoscenza e confronto, tuttavia chiediamo all'Amministrazione comunale, che insieme alla Provincia detiene oltre il 60% dell'Ente Fiera, di:

1) farsi promotrice presso Fiera di Vicenza della predisposizione di un codice di responsabilità sociale relativo all'evento Hit Show 2017, da condividere con i diversi portatori di interesse, in un dialogo costruttivo che coinvolga le associazioni impegnate sui temi della pace, del controllo delle armi ed esperti in campo etico
2) promuovere un Comitato etico – con attenzione prevalentemente educativa rivolta innanzitutto ai  minori, ma non solo – che metta insieme tutti i portatori di interesse coinvolti nella manifestazione fieristica HIT Show (Ente fiera, Comune, Provincia, una coppia di genitori, un insegnante di scuola, un esperto di scienze dell’educazione, un esperto di etica, …); tale Comitato potrebbe elaborare – in modo condiviso – dei criteri per mantenere aperto un dialogo al fine di far crescere una cultura della nonviolenza, anche all’interno di HIT Show.

Come istituzioni, comunità, educatori, genitori abbiamo la responsabilità di riflettere e di agire con onestà intellettuale e coerenza su questi e altri temi, per il bene comune e delle generazioni future. Per questo sentiamo prioritari la dimensione educativa, la ricerca del dialogo, la risoluzione dei conflitti in modo nonviolento.

Commissione diocesana per la Pastorale Sociale:
Lavoro, Giustizia e Pace, Salvaguardia del Creato


domenica 30 ottobre 2016

Un’altra difesa è possibile...

dalla pagina http://www.azionenonviolenta.it/unaltra-difesa-possibile-perche-vera-sicurezza-necessaria/

Mentre per il piano antisismico nazionale di un anno si spende meno delle spese militari di un giorno, la Campagna per la difesa civile, non armata e nonviolenta convoca a Trento, per il 4 e 5 novembre, i suoi “Stati generali”. Cento anni dopo l’immane macello della “grande guerra”, l’alternativa è secca: continuare nella follia o rinsavire

Quando scrivo queste righe il nostro Paese è sottoposto alle ennesime scosse di un terremoto infinito che da mesi sconquassa le regioni dell’appennino centrale, uccidendo le persone, abbattendo le case, distruggendo il patrimonio storico, avvilendo il morale dei superstiti. Il terremoto in Italia non è solo un evento catastrofico ad alto rischio ma una certezza periodica, costitutiva della struttura morfologica del nostro territorio. Anzi, leggiamo sul sito della Protezione civile, “l’Italia è uno dei Paesi a maggiore rischio sismico del Mediterraneo, per la sua particolare posizione geografica, nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica”. Le circa trecento vittime di Arquata ed Amatrice sono solo le ultime di una lunghissima sequela di morti: migliaia nella storia dell’Italia repubblicana, milioni nella storia secolare del Paese. Il terremoto non si può ne’ prevenire ne’ prevedere, ci dicono gli esperti, ma le sue conseguenze catastrofiche sì. Da esse ci si può difendere attraverso la messa in sicurezza antisismica del territorio italiano.
E, in effetti, esiste in Italia – dal 2009 – un “Piano nazionale per la prevenzione del rischio sismico”, con un fondo dedicato che – sempre sul sito della Protezione civile – è così declinato: “la spesa autorizzata è di 44 milioni di euro per l’anno 2010, di 145,1 milioni di euro per il 2011, di 195,6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014, di 145,1 milioni di euro per l’anno 2015 e di 44 milioni di euro per il 2016.” Insomma, per difenderci dal rischio terremoto nell’anno in corso, mettendo in sicurezza gli edifici prima che – puntualmente – questo si verifichi, il governo ha previsto, complessivamente, la cifra di 44 milioni di euro! Ossia meno di quanto lo stesso governo spende ogni giorno per la difesa militare: il Documento programmatico pluriennale 2016-2018  del Ministero della Difesa prevede, per il solo 2016, 17,7 miliardi di euro per le spese militari che, divisi per i giorni dell’anno, fanno 48 milioni al giorno. Al giorno!
L’esempio tragico del terremoto ci mostra, dunque, quanto sia distorta l’idea di “difesa” nella quale persistono la cultura militarista del Paese e le scelte del governo: si prevedono massicci investimenti di risorse pubbliche solo in funzione di ipotetiche minacce esterne, derivanti da potenziali nemici da sconfiggere militarmente – programmando a questo scopo pluriennali piani di acquisto di armamenti, contrari allo spirito ed alla lettera della Costituzione ma a lauto beneficio delle aziende belliche – e si stanziano solo le residuali, scarsissime e del tutto insufficienti risorse per la difesa dei cittadini dagli autentici, effettivi e costanti rischi alla loro sicurezza, come il terremoto o i disatri idro-geologici. Ed altrettanto possiamo dire per le, ormai quasi inesistenti, protezioni rispetto ad altri innumerevoli minacce, rischi e pericoli che attentano alla sicurezza dei cittadini, dalla disoccupazione alla povertà, dall’inquinamento di intere aree del Paese alla scarsa sanità. Non è un caso che nel 2015 la mortalità degli italiani sia aumentata dell’11,3 % rispetto all’anno precedente, con un’impennata tale da avere dei precedenti solo negli anni della guerra del 1943 e del 1915-18. Ciò significa che la preparazione della guerra contro i “nemici”, provoca in realtà – in prima battuta – una guerra vera contro gli “amici”, i cittadini di questo Paese.
Allora è necessario sottrarre, urgentemente, allo strumento militare il monopolio della difesa e delle sue risorse. E’ necessario ribadire culturalmente, affermare politicamente e organizzare tecnicamente un’altra idea e un’altra .pratica della difesa. Una difesa vocata alla sicurezza dei cittadini, alla risoluzione delle controversie internazionali con strumenti e mezzi non militari e, dunque, alla costruzione della pace con mezzi pacifici, secondo quanto dispongono gli articoli 11 e 52 della Costituzione italiana. Per questo la campagna “Un’altra difesa è possibile” ha organizzato per il 4 e 5 novembre a Trento gli “Stati generali della difesa civile, non armata e nonviolenta”. La data non è casuale: il 4 novembre è la “festa delle forze armate”, nel giorno che celebra la “vittoria” nella “grande guerra”, in quell’immane macello che provocò sedici milioni di morti e pose le premesse per il fascismo, il nazismo, i campi di sterminio e la seconda guerra mondiale. Dalla quale ereditiamo ancora l’incubo dell’olocausto nucleare.
Ora, cento anni dopo ci sono due possibili strade. L’una è continuare sulla via della follia della preparazione di altre guerre, bruciando enormi risorse, lasciando indifesi e vulnerabili i cittadini di fronte a tremendi rischi e minacce: è la strada che ha scelto il governo italiano con le abnormi spese militari e, in ultimo lo scorso 27 ottobre, con il voto contrario alle Nazioni Unite all’avvio del percorso per il “Trattato per la messa al bando delle armi nucleari”. L’altra strada è la via del rinsavimento e del salto di civiltà che propone la campagna “Un’altra difesa è possibile”. Entrambe passano da Trento ma, cento anni dopo, vogliamo arrivarci in maniera civile, non armata e nonviolenta. Qui il programma completo

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venerdì 28 ottobre 2016

Via le armi nucleari dall'Italia

dalle pagine
 Approvata oggi in Consiglio Regionale una mozione di Sì Toscana a Sinistra per richiedere al Governo di rispettare il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari e, attenendosi a quanto esso stabilisce, far sì che gli Stati Uniti rimuovano immediatamente qualsiasi arma nucleare dal territorio italiano e rinuncino a installarvi le nuove bombe B61-12 e altre armi nucleari.

Le nuove bombe nucleari Usa B61-12 Stanno per arrivare in Italia. Lo conferma da Washington, con prove documentate, la Federazione degli scienziati americani. Una foto satellitare mostra che è stato effettuato l’upgrade della base della U.S. Air Force ad Aviano e di quella di Ghedi-Torre. Analoghi lavori sono stati effettuati nella base aerea tedesca di Buchel, in altre due basi in Belgio e Olanda, e in quella turca di Incirlic dove stanno per essere installate le B61-12. Non si sa quante sarannno schierate in Europa e Turchia.

Secondo le ultime stime della Fas, gli Usa mantengono oggi 70 bombe nucleari B61 in Italia (50 ad Aviano e 20 a Ghedi), 50 in Turchia, 20 rispettivamente in Germania, Belgio e Olanda, per un totale di 180. Nessuno sa però con esattezza quante siano. Si sa però che quelle a breve installate in Italia abbassano la soglia nucleare, ossia rendono più probabile il lancio di un attacco nucleare dal nostro paese e lo espongono quindi a una rappresaglia nucleare. All’uso di tali armi nucleari vengono addestrati piloti italiani, nonostante l’Italia abbia ratificato il Trattato di non-proliferazione che la «impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente».

Un ultimo fatto conferma quale sia il rapporto Usa-Italia: stanno per arrivare alla base di Amendola in Puglia, probabilmente l’8 novembre, i primi due dei 90 caccia F-35 della statunitense Lockheed Martin, che l’Italia si è impegnata ad acquistare. Il costo della partecipazione dell’Italia al programma F-35, quale partner di secondo livello, è ufficialmente quantificato nella Legge di stabilità 2016: 12 miliardi 356 milioni di euro di denaro pubblico, più altre spese per le continue modifiche al caccia che ancora non è pienamente operativo e necessiterà di continui ammodernamenti. Nonostante ciò – conferma Analisi Difesa – l’Italia avrà una «sovranità limitata» sugli stessi F-35 della propria aeronautica. Una legge statunitense vieta che i «dati di missione» (i software di gestione dei sistemi di combattimento dei caccia) siano comunicati ad altri. Saranno dunque gli Usa a controllare gli F-35 italiani, predisposti per l’uso delle nuove bombe nucleari B61-12 che il Pentagono schiererà contro la Russia, al posto delle attuali B-61, sul nostro territorio «nazionale».

Mozione
“Per il rispetto del Trattato di non proliferazione nucleare”

IL CONSIGLIO REGIONALE
Ricordato che – secondo i dati forniti dalla Federation of American Scientists (FAS), Federazione degli scienziati americani – l’Italia custodisce il più alto numero di armi nucleari statunitensi schierate in Europa, 70 ordigni B-61 su un totale di 180, presenti nelle basi militare di Ghedi – Torre e di Aviano;
Ricordato che è stata ufficialmente autorizzata dalla National Nuclear Security Administration (Nnsa) la B61-12, nuova arma con una testata nucleare dalla potenza media pari a quella di quattro bombe di Hiroshima;
Ricordato che foto satellitari, pubblicate dalla FAS, mostrano le modifiche già effettuate nelle basi di Aviano e Ghedi-Torre per installarvi le B61-12.
Ricordato che l’Italia, che fa parte del Gruppo di pianificazione nucleare della Nato, mette a disposizione non solo il suo territorio per l’installazione di armi nucleari, ma anche piloti italiani che – dimostra la FAS – sono addestrati all’attacco nucleare sotto comando Usa con i cacciabombardieri Tornado schierati a Ghedi;
Ricordato che anche i previsti caccia F-35 destinati all’aeronautica italiana saranno integrati, come annunciato dall’U.S. Air Force, con la B61-12;
Considerato che in tal modo sarebbe violato il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari, firmato nel 1969 e ratificato nel 1975, il quale all’Art. 2 stabilisce: «Ciascuno degli Stati militarmente non nucleari, che sia Parte del Trattato, s’impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente»;
Considerato che tali nuovi armamenti abbasseranno ulteriormente la soglia nucleare, rendendo più probabile un attacco atomico;
Considerato che con la presenza simultanea sul territorio di B61-12, F-35 e della stazione Muos (Mobile User Objective System, sistema di telecomunicazioni satellitari della Marina militare degli Stati Uniti d’America), l’Italia, in un preoccupante quadro di corsa al riarmo atomico, diventa un bersaglio prioritario di un’eventuale rappresaglia nucleare.
IMPEGNA LA GIUNTA
A richiedere al Governo di rispettare il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari e, attenendosi a quanto esso stabilisce, far sì che gli Stati Uniti rimuovano immediatamente qualsiasi arma nucleare dal territorio italiano e rinuncino a installarvi le nuove bombe B61-12 e altre armi nucleari.

mercoledì 26 ottobre 2016

La guerra in Siria sarebbe già finita se ...

dalla pagina http://www.presstv.ir/Detail/2016/10/26/490707/Senator-exposes-USISIL-ties-Nusra-Qaeda-Syria-Assad

Il senatore repubblicano della Virginia Richard Hayden Black in una intervista descrive i legami fra Washington e al Nusra [così si chiama al Qaeda in Siria] e Daesh [altro nome di ISIS].

Foto della Agenzia siriana SANA – Incontro del presidente Bashar al-Assad
con il senatore Richard Hayden Black a Damasco il 28 aprile, 2016
Di fatto, continua il senatore, non c'è differenza fra i "ribelli" cosiddetti moderati e i "terroristi": sono tutti integrati con al Qaeda e con ISIS, "sono tutti parte dello stesso esercito". La CIA ha contatti con vari gruppi anti-Assad e di fatto finisce con il fornire armi in modo indiscriminato sia ad al Qaeda che all'ISIS. 

Gli USA tengono alcune "organizzazioni estremamente violente fuori dalla lista dei terroristi perché quelli sono gli agenti che portano le nostre armi [in Siria] e le distribuiscono all'ISIS (Daesh) e ad al Qaeda". 

La guerra in Siria sarebbe già finita se gli USA avessero smesso di fornire armi e logistica ai gruppi anti-Assad quando è intervenuta la Russia. 

martedì 25 ottobre 2016

Sosteniamo la Vallonia per fermare CETA!

dalla pagina https://act.wemove.eu/campaigns/sostegno-vallonia-ceta?utm_campaign=20161025_IT_a

PER FIRMARE: 
https://act.wemove.eu/campaigns/sostegno-vallonia-ceta?utm_campaign=20161025_IT_a

Al Commissario europeo per il commercio, Cecilia Malmström, e ai Capi di Stato e di governo europei

Petizione

Sosteniamo la Vallonia come anche il suo primo ministro Paul Magnette nella loro coraggiosa resistenza al CETA. Chiediamo di porre fine agli atti di prepotenza nei confronti della Vallonia e della regione di Bruxelles per la loro opposizione democratica al CETA. L'accordo commerciale tra l'Ue e il Canada dovrebbe essere rinegoziato affinché, come minimo, ne vengano esclusi i diritti speciali per le multinazionali.

Perche è importante?

La regione di Bruxelles si unisce alla Vallonia, rifiutando il gigantesco accordo commerciale tra Canada e Unione europea.
La scorsa settimana, il primo ministro vallone, Paul Magnette, ha fatto ciò che nessun altro politico europeo ha avuto il coraggio di fare e ha dichiarato che il suo governo non sosterrà il CETA. Ha lottato per la democrazia ed è diventato il difensore dei milioni di europei che si oppongono all’accordo.
La Commissione europea e i maggiori Stati membri europei non intendono arrendersi e stanno facendo un’enorme pressione su Paul Magnette affinché ceda in tempo per la cerimonia della firma fissata in uno dei prossimi giorni di questa settimana. Ora solo una cosa li ostacola: Paul Magnette e le coraggiose regioni belghe.
Paul Magnette ha difeso la democrazia dal potere delle aziende, ma potrebbe cedere sotto la pressione che riceve da ogni parte, a meno che non gli mandiamo un’enorme dimostrazione di sostegno da tutta Europa. Ma non abbiamo molto tempo per agire: l’UE e il Canada sperano di costringere la Vallonia a ritrattare la sua posizione nelle prossime 48 ore. Quindi dobbiamo sostenere ora la Vallonia!

[1] https://www.euractiv.com/section/trade-society/news/belgium-cannot-sign-ceta-pm-michel-admits/
[2] http://www.reuters.com/article/us-eu-canada-trade-idUSKCN12B17S

David Swanson: “Dobbiamo unirci per un’opposizione globale all’istituto della guerra”

dalla pagina http://www.pressenza.com/it/2016/10/david-swanson-dobbiamo-unirci-unopposizione-globale-allistituto-della-guerra/ 

24.10.2016 - Anna Polo

(Foto di Ragesoss, Wikimedia Commons)
Nel tuo sito http://worldbeyondwar.org/ è scritto: “Puntiamo a sostituire una cultura della guerra con una cultura della pace, in cui i mezzi nonviolenti di risoluzione dei conflitti prendano il posto degli eccidi”. Che ruolo e valore quindi può avere la nonviolenza nella costruzione di una simile cultura?
L’azione nonviolenta può svolgere almeno tre funzioni.
1. Può dimostrarsi un metodo superiore di resistenza alla tirannia, un metodo che provoca meno sofferenze e ha maggiori e più durature probabilità di successo. La maggior parte degli esempi, come quello della Tunisia nel 2011, riguarda il rovesciamento di una tirannia in un paese, ma esiste anche una serie crescente di azioni di resistenza nonviolenta che hanno avuto successo contro un’invasione o un’occupazione straniera. Aumenta inoltre la comprensione riguardo al modo di applicare le lezioni della nonviolenza all’interno di un paese alla resistenza a un attacco straniero.
2. Può mostrare un mondo che ha superato la guerra. Le nazioni possono dare il buon esempio, entrando a far parte di istituzioni internazionali, firmando trattati, rispettando la legge e facendola applicare. Il Tribunale Penale Internazionale potrebbe incriminare un non-africano. Gli Stati Uniti, che hanno smesso di produrre bombe a grappolo, potrebbero sottoscrivere la loro messa al bando. Le Commissioni per la verità e la riconciliazione potrebbero diffondersi. I colloqui per il disarmo, gli aiuti umanitari su una nuova scala e la chiusura delle basi straniere potrebbero essere il cambiamento che vogliamo vedere.
3. Gli strumenti della protesta e della resistenza nonviolenta possono essere usati dagli attivisti per opporsi alle basi, alle fabbriche d’armi, al reclutamento militare e a nuove guerre. Non abbiamo potuto fermare la base Dal Molin a Vicenza, ma non per questo dobbiamo accettarla. Non si dovrebbe permettere all’apparato militare degli Stati Uniti di usare strutture in Sicilia per gli omicidi con i droni  in Asia e in Africa. Un anno di servizio al proprio paese non dovrebbe significare la partecipazione ad azioni militari. Le fabbriche d’armi non devono essere finanziate da fondi pubblici e privati, eccetera.
Cosa si può fare a tuo parere per trasformare la cultura basata sulla violenza e la vendetta che provoca tante vittime negli Stati Uniti?  
Abbiamo bisogno di una riforma strutturale dei mass media, dell’industria dello spettacolo, dei notiziari e delle scuole. Possiamo cominciare fornendo alla gente l’informazione che le manca. Spesso quello di cui c’è bisogno sono i fatti, non le ideologie. Quando una vincitrice del concorso di Miss Italia ha dichiarato che le sarebbe piaciuto vivere durante la seconda guerra mondiale la gente ha riso di lei, ma potrei trovarti milioni di americani che direbbero la stessa cosa. Nessuno di loro ha idea di cosa significava vivere sotto le bombe, altrimenti non farebbe un’affermazione del genere. Pochi di loro hanno idea di cosa significhi vivere oggi sotto le bombe degli Stati Uniti o della Nato in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Somalia, Siria, Libia, o Yemen.
Quando vado a parlare in un’università (video ripreso questo weekend: http://davidswanson.org/node/5319 ) cerco di fornire alla gente i fatti che le sfuggono. Media indipendenti, social media, film stranieri: tutti questi possono essere strumenti efficaci. E lo stesso vale per i viaggi. Quando ho passato un anno in Italia dopo il liceo, in un programma di scambio tra studenti, questo mi ha permesso più di ogni altra cosa di vedere la cultura americana da una prospettiva nuova. E quest’abitudine mi consente di vedere e mettere in discussione le usanze culturali condivise da Italia e Stati Uniti. Ciò che cambierebbe davvero le cose, comunque, sarebbe la possibilità di produrre, ottenere e diffondere ampiamente video delle vittime dei guerrafondai occidentali, così come oggi condividiamo i video delle vittime della brutalità poliziesca negli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti spendono ogni anno un trilione di dollari in guerre e armi e né i democratici, né i repubblicani, né i media mettono in discussione questa scelta. Cosa pensi si possa fare per sensibilizzare l’opinione pubblica su queste enormi spese miliari e sulle possibili alternative?
Ecco un video che ha proprio questo scopo:  http://worldbeyondwar.org/moneyvideo/  e questa è un’organizzazione che invitiamo a sostenere http://worldbeyondwar.org/individual/ per raggiungerlo. Un altro utile strumento, se ben presentato con un’introduzione o un dibattito dopo la proiezione, è il film di Michael Moore Where To Invade Next.
Molti temono che, se eletta presidente, Hillary Clinton possa scatenare una guerra con la Russia usando la Siria come pretesto. Il movimento pacifista negli Stati Uniti cercherà di fermare questo piano? E cosa potrebbero fare i movimenti di altri paesi per aiutarlo?
Purtroppo non siamo affatto preparati. Gli attivisti americani soffrono di settarismo e per tradizione si oppongono di più alle guerre repubblicane che a quelle democratiche. Soffriamo anche di ossessione elettorale. Il giorno dopo le elezioni migliaia di persone crollano esauste, convinte di aver completato quello che c’era da fare. Su di noi pesano anche l’ideologia della guerra, i problemi di comunicazione e una divisione sulla Siria di una profondità mai vista a memoria d’uomo. Alcuni sono a favore della guerra all’Isis, altri della guerra alla Siria, altri ancora sostengono entrambe, oppure la guerra fatta dai siriani o dai russi. Chiunque si opponga a un intervento militare degli Stati Uniti viene accusato di sostenere i guerrafondai siriani e  vice versa. Dobbiamo unirci per un’opposizione globale all’istituto della guerra, chiunque la faccia, senza lasciarsi dissuadere dalla stupida accusa secondo cui dovremmo mettere sullo stesso piani i crimini di guerra minori di una parte con i crimini di guerra di massa di un’altra fazione. Abbiamo bisogno di concentrarci sul commercio delle armi. Le armi vengono dagli Stati Uniti e dall’Europa e in secondo luogo dalla Russia e dalla Cina. Le nazioni che soffrono per le guerre non producono armi. Tocca a noi fermare la produzione, la vendita e la fornitura di questi strumenti di morte. Negli ultimi 15 anni la vendita di armi leggere e le morti da esse causate sono triplicate. Dobbiamo porre l’accento su aiuti umanitari su una scala enorme, che non abbiamo mai osato sognare, ma che comunque costerebbero molto meno di una guerra. E di certo non dobbiamo cadere un’altra volta nella trappola dei cambiamenti di facciata, immaginando che una donna presidente, come un presidente afro-americano, siano per magia migliori nonostante quello che hanno dimostrato finora. Otteniamo un solido accordo di pace in Ucraina entro gennaio e se possibile anche in Siria. E per l’amor di Dio che nessuno pensi di darle il Premio Nobel per la Pace l’anno prossimo, mentre farà di tutto per intensificare le guerre!


lunedì 24 ottobre 2016

No all'invio dei soldati italiani al confine della Russia (Lettonia)

dalla pagina https://www.change.org/p/firma-la-petizione-per-dire-no-ai-militari-italiani-al-confine-con-la-russia

L'articolo 11 della Costituzione recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo."

Visto e considerando che l'invio di soldati italiani in Lettonia è una provocazione implicita alla Russia, tale azione dovrebbe essere vietata per una nazione che sulla carta costituzionale dice di ripudiare la guerra.

Chiediamo all'unisono che sia ritrattata questa decisione scellerata, che oltre ad esser pericolosa per possibili conflitti, rischia di danneggiarci anche sotto l'aspetto economico, essendo le nostre aziende già penalizzate dalle sanzioni alla Russia.

Per firmare questa petizione vai alla pagina

mercoledì 19 ottobre 2016

Seminario di studio e confronto promosso dal Comune di Vicenza - COMUNICATO STAMPA


L'Amministrazione Comunale di Vicenza promuove un incontro di approfondimento per portare all’attenzione del pubblico informazioni e dati che riguardano la produzione e la diffusione delle armi a livello nazionale ed europeo con attenzione particolare alla sicurezza pubblica. Il convegno ha l’obiettivo di fare il punto sulle questioni che attengono alla produzione, alla commercializzazione e al controllo della diffusione delle armi comuni.

Le armi comuni in Italia e
nell’Unione Europea: dati, analisi e prospettive

Giovedì 20 Ottobre 2016, ore 15:00
 Sala Stucchi in Palazzo Trissino, corso Palladio 98, Vicenza

Intervengono:

Jacopo Bulgarini d'Elci
Vicesindaco di Vicenza

Filippo Bubbico
Viceministro dell'Interno

Eugenio Soldà
Prefetto di Vicenza

Gaetano Giampietro
Questore di Vicenza

Nicola Perrotti
Vicepresidente dell’Ass. Naz. Produttori di Armi e Munizioni Sportive e Civili (ANPAM)

Matteo Marzotto
Presidente Fiera di Vicenza

Giorgio Beretta
Analista dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere (OPAL) di Brescia

Modera:
Isabella Sala
Assessora alla Comunità e alle Famiglie

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COMUNICATO STAMPA
“Il seminario sulle armi comuni promosso dalla
Amministrazione Comunale di Vicenza 
è un passo significativo: auspichiamo possa 
contribuire anche a definire presto un 
regolamento generale della fiera HIT Show”
Martedì 18 ottobre 2016

La Rete Italiana per il Disarmo e l’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL) di Brescia considerano il seminario promosso dall’Amministrazione Comunale di Vicenza sulle armi comuni un passo significativo ed auspicano che possa contribuire anche a definire presto un regolamento generale di HIT Show (Hunting, Individual Protection and Target Sports): un regolamento, cioè, sia per gli espositori che per i visitatori, capace di concretizzare l’assunzione di responsabilità etica e sociale che tale manifestazione fieristica implica. HIT Show è la fiera che da due anni si tiene a febbraio presso il quartiere fieristico vicentino a seguito di un accordo tra Fiera di Vicenza e Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni Sportive e Civili (ANPAM). 

Giovedì 20 ottobre si tiene a Vicenza il seminario di studio e confronto “Le armi comuni in Italia e nell’Unione Europea: dati, analisi e prospettive” (dalle ore 15,00 nella Sala Stucchi in Palazzo Trissino, corso Palladio 98). Il convegno è promosso dall’Amministrazione Comunale di Vicenza e, dopo i saluti del Vicesindaco Jacopo Bulgarini d’Elci, vede gli interventi di Filippo Bubbico (Viceministro dell’Interno), Eugenio Soldà (Prefetto di Vicenza), Gaetano Giampietro (Questore di Vicenza), Nicola Perrotti (Vicepresidente dell’Associazione Nazionale Produttori di Armi e Munizioni Sportive e Civili, ANPAM), Matteo Marzotto (Presidente Fiera di Vicenza) e di Giorgio Beretta (Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere di Brescia). Il dibattito sarà moderato da Isabella Sala (Assessora alla Comunità e alle Famiglie).
 
«Già dal gennaio 2015 – dichiara Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete Italiana per il Disarmo – in occasione della prima edizione del salone nazionale HIT Show le nostre associazioni insieme a numerose realtà vicentine hanno intrapreso un’interlocuzione con l’Amministrazione Comunale per mettere in evidenza quelle che a nostro avviso rappresentano delle criticità della manifestazione fieristica e per avanzare due proposte: promuovere un momento di studio e confronto sulla diffusione e commercializzazione delle armi comuni e predisporre delle regole più stringenti riguardo all’accesso del pubblico, ed in particolare dei minori, e riguardo alle armi ed ai materiali esposti».
 
In particolare, in diversi comunicati e incontri pubblici svoltisi a Vicenza, Rete Disarmo e OPAL Brescia hanno evidenziato che HIT Show, esponendo in un unico evento fieristico armi per la difesa personale insieme a quelle per le attività venatorie, per il tiro sportivo e per il collezionismo, consentendo l’accesso al pubblico senza limiti di età (anche ai minori purché accompagnati) e la diffusione di materiali propagandistici senza alcuna restrizione, sta facendo, consapevolmente o meno, un’operazione di tipo ideologico-culturale che si configura come una promozione delle armi di ogni tipo, escluse quelle per specifico impiego militare. Le due associazioni ritengono questa operazione inammissibile se non viene associata ad un’approfondita riflessione culturale sulla diffusione delle armi e sulle normative che regolamentano il settore e soprattutto ad una regolamentazione da parte di HIT Show: in tal senso sono state avanzate all’Amministrazione Comunale specifiche proposte.
 
A seguito di diversi incontri con la referente dell’Amministrazione Comunale, l’Assessora alle Comunità e alle Famiglie, Isabella Sala, a cui hanno partecipato rappresentanti di Rete Disarmo, OPAL Brescia e varie associazioni vicentine, lo scorso 11 febbraio l’Assessora Sala ha comunicato con atto ufficiale l’intenzione dell’Amministrazione di farsi promotrice, da un lato, «presso Fiera di Vicenza dell’opportunità della predisposizione di un codice di responsabilità sociale relativo all’evento HIT Show per l’edizione 2017, da condividere con i diversi portatori di interesse in una interlocuzione costruttiva che coinvolga le associazioni impegnate sul tema del controllo delle armi», e dall’altro, di un convegno di approfondimento sul tema.
 
«Ci siamo rivolti all’Amministrazione Comunale – spiega Piergiulio Biatta, presidente di OPAL Brescia – sia perché essa detiene, insieme alla Provincia, un’importante quota azionaria in Fiera di Vicenza sia, soprattutto, in considerazione dello Statuto del Comune di Vicenza che impegna l’Amministrazione a promuovere, con il sostegno delle associazioni, la cultura della pace e dei diritti umani per mezzo di iniziative culturali e di ricerca. La riflessione e il confronto ampio e pubblico sul controllo della diffusione delle armi comuni con una specifica attenzione alla sicurezza pubblica è un importante passo in questa direzione: per questo salutiamo positivamente ed invitiamo a partecipare al seminario che si tiene giovedì a cui abbiamo contribuito, insieme a diverse associazioni vicentine, sia in fase di ideazione sia con l’intervento che terrà un relatore del nostro Osservatorio».
 
Come riporta il programma diffuso dall’Amministrazione Comunale di Vicenza, il seminario di “studio e confronto” di giovedì 20 ottobre rappresenta un momento di approfondimento per portare all’attenzione del pubblico informazioni e dati che riguardano la produzione e la diffusione delle armi a livello nazionale ed europeo con attenzione particolare alla sicurezza pubblica. Il convegno ha perciò l’obiettivo di fare il punto sulle questioni che attengono alla produzione, alla commercializzazione e al controllo della diffusione delle armi comuni.
 

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Per contatti:

Francesco Vignarca - Email: segreteria@disarmo.org - Cellulare: 328-3399267
Piergiulio Biatta – Email: piergiulio.biatta@gmail.com - Cellulare: 338.8684212
Giorgio Beretta - Email: berettagiorgio@gmail.com - Cellulare: 338-3041742
 
La Rete Italiana per il Disarmo è un organismo nazionale di coordinamento sulle tematiche della spesa militare e del controllo degli armamenti. Fondata nel 2004 è composta da: ACLI, Archivio Disarmo, ARCI, ARCI Servizio Civile, Associazione Obiettori Nonviolenti, Associazione Papa Giovanni XXIII, Associazione per la Pace, Beati i costruttori di Pace, Campagna Italiana contro le Mine, Centro Studi Difesa Civile, Conferenza degli Istituti Missionari in Italia, Coordinamento Comasco per la Pace, FIM-Cisl, FIOM-Cgil, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Gruppo Abele, Libera, Movimento Internazionale della Riconciliazione, Movimento Nonviolento, Osservatorio Permanente sulle armi leggere (OPAL) di Brescia, Osservatorio sul commercio delle armi (Os.C.Ar.) di Ires Toscana, Pax Christi Italia, PeaceLink, Un ponte per.… Tutte le informazioni sono disponibili sul sito: www.disarmo.org

L’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL) di Brescia è un’associazione attiva dal 2004, promossa da diverse realtà dell’associazionismo bresciano e nazionale (Collegio Missioni Africane dei Missionari Comboniani, Associazione Brescia Solidale, Commissione Giustizia e Pace della Diocesi di Brescia, Ufficio Missionario Diocesano della Diocesi di Brescia, Associazione per l’Ambasciata della Democrazia Locale di Zavidovici, Camera del Lavoro Territoriale di Brescia “CDLT”, Pax Christi, Centro Saveriano Animazione Missionaria dei Missionari Saveriani, S.V.I. – Servizio Volontario Internazionale) e da singoli aderenti, per diffondere la cultura della pace ed offrire alla società civile informazioni di carattere scientifico circa la produzione e il commercio delle armi con approfondimenti sull’attività legislativa di settore. Membro della Rete Italiana per il Disarmo, l’Osservatorio ha pubblicato sei Annuari: nell’ultimo “Commerci di armi, proposte di pace. Ricerca, attualità e memoria per il controllo degli armamenti, GAM, 2014” sono presenti due ampi studi sulla produzione e esportazione di armi italiane e bresciane. Tutte le informazioni sono disponibili sul sito: www.opalbrescia.org.

lunedì 17 ottobre 2016

Rapporto Caritas 2015 sulla povertà e l'esclusione sociale

dalla pagina http://www.caritasitaliana.it/home_page/area_stampa/00006048_Rapporto_sulla_poverta_e_l_esclusione_sociale.html

E' stato presentato a Expo Milano il 17 ottobre, Giornata internazionale contro la povertà, il Rapporto Caritas 2015 sulla povertà e l'esclusione sociale, dal titolo "Povertà plurali". La presentazione è avvenuta presso il Conference Centre Expo Milano all'interno del Convegno "Diritto al cibo. Interventi di prossimità e azioni di advocacy", incentrato sul tema della povertà alimentare a Milano, in Italia e in Europa.
L'incontro ha consentito di approfondire il tema del diritto al cibo in contesti europei, vedere le azioni poste in essere da Caritas per contrastare il fenomeno della povertà alimentare, dai pacchi viveri agli Empori della Solidarietà, ma anche un momento di riflessione sulle politiche necessarie a garantire tutele adeguate affinché ciascuno possa provvedere autonomamente a sé e alla propria famiglia. Nella stessa occasione Caritas Europa ha presentato l’azione di advocacy sul diritto al cibo e le sue ricadute sulle istituzioni europee.

Dépliant di sintesi del Rapporto (.pdf)

venerdì 14 ottobre 2016

In Italia si spendono ogni ora 2,5 milioni per la Difesa

dalla pagina http://www.azionenonviolenta.it/in-italia-si-spendono-ogni-ora-25-milioni-per-armamenti-meglio-saperlo/

«Dobbiamo vigilare contro l’acquisizione di un’ingiustificata influenza da parte del complesso militare-industriale, sia palese che occulta. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa combinazione di poteri metta in pericolo le nostre libertà e processi democratici. Soltanto un popolo di cittadini allerta e consapevole può trovare un adeguato compromesso tra l’enorme macchina industriale e militare di difesa e i nostri metodi e fini pacifici, in modo che sicurezza e la libertà possano prosperare assieme».
Presidente degli Stati Uniti d’America Dwight D. Eisenhower,
Discorso di addio alla nazione del presidente, 17 gennaio 1961


«Il denaro che oggi si sperpera a costruire ordigni di morte che recano in essi la fine dell’umanità, serva, invece, a combattere la fame nel mondo. Mentre io parlo migliaia di creature umane lottano contro la fame e di fame muoiono. Si svuotino gli arsenali e si colmino i granai».
 

Presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini,
Discorso di Città del Messico, 27 marzo 1981


In Italia si spendono ogni ora 2,5 milioni di euro per la Difesa. Mezzo milione all’ora solo per l’acquisto di nuovi armamenti: missili, bombe, blindati, cacciabombardieri, navi da guerra. Acquisti finanziati in gran parte con fondi destinati allo sviluppo economico del Paese, i 3/4 dei quali finiscono così a sostegno dell’industria bellica nazionale penalizzando altri settori industriali. Strumenti militari costosissimi destinati a rimanere inutilizzati per mancanza dei fondi necessari alla loro manutenzione e addirittura al loro uso, per cui si ricorre ai fondi per le missioni all’estero, generando un inquietante meccanismo di mezzi che giustificano il fine dell’impegno bellico. Mezzi che, salvo qualche raro utilizzo in missione, finiscono cannibalizzati per i pezzi di ricambio o ad arrugginire in qualche deposito (il gigantesco cimitero di carri armati di Lenta, nel Vercellese, è l’emblema di tutto questo).
Nonostante ciò, lo Stato italiano continua a comprare nuovi armamenti, non in base a effettive esigenze di sicurezza nazionale (le bombe non servono a contrastare le minacce odierne, semmai a fomentarle) ma ai desiderata dei vertici militari, tradizionalmente refrattari a sottoporre questa materia al vaglio del Parlamento e dell’opinione pubblica e anche solo a fornire informazioni chiare e dettagliate in materia di spese militari. La scarsa trasparenza della Difesa nei confronti dei parlamentari, che queste spese dovrebbero approfonditamente valutare e dibattere prima di autorizzare, crea una situazione di voluta opacità funzionale a ostacolare un efficace controllo democratico sulle spese militari, una cortina fumogena dietro la quale si celano oscuri affari, scandalosi sprechi e inquietanti intrecci politico-affaristici.
Questa situazione è emersa chiaramente quando – a seguito dell’introduzione nel 2012 di poteri di supervisione parlamentare sulle spese militari – le Camere hanno provato a esercitare la loro funzione di controllo democratico, tra gli altri, sul programma F-35 scontrandosi con le lobby politico-militari-industriali che hanno fatto muro respingendo quella che giudicano come indebita intrusione in una materia di loro esclusiva competenza. Quella vicenda, grazie anche ad alcune campagne di sensibilizzazione e al lavoro di alcuni giornalisti, ha comunque risvegliato l’interesse pubblico rispetto alla tematica delle spese militari, la cui riduzione risulta una delle urgenze più sentite dalla cittadinanza.

 

martedì 11 ottobre 2016

Giornata mondiale delle bambine e delle ragazze

dalla pagina http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/unicef-700-milioni-spose-minorenni-208310e0-3b43-4a63-9ac9-6b791a86223a.html
Unicef: nel mondo oltre 700 milioni di spose bambine 
Ogni anno 16 milioni di ragazze tra 15 e 19 anni mettono al mondo un figlio, mentre oltre un milione diventano madri prima di compiere i 15 anni

Film di Khadija Al Salami
"Oggi nel mondo ci sono oltre 700 milioni di donne che si sono sposate in età minorile e che hanno dovuto rinunciare ad avere una crescita normale, fisica e mentale. Ogni anno 15 milioni di matrimoni hanno per protagonista una minorenne; una volta su tre si tratta di una bambina con meno di 15 anni. Hanno dovuto spesso affrontare gravidanze precoci e violenze domestiche", ha sottolineato il Presidente dell`Unicef Italia Giacomo Guerrera in occasione, oggi, della Giornata mondiale delle bambine e delle ragazze. 
"L`Unicef da molti anni si batte per prevenire il fenomeno delle spose bambine e promuove l'istruzione delle bambine come l`investimento più potente che una nazione possa fare, perché accelera la lotta contro la povertà, le malattie, la disuguaglianza e la discriminazione di genere" ha detto Guerrera. 
L'Unicef elenca alcuni dati sui diritti negati delle bambine e delle ragazze: 
  • Almeno 70.000 ragazze tra i 15 e i 19 anni muoiono a causa di complicazioni durante la gravidanza e il parto. Le bambine sotto i 15 anni hanno 5 volte più probabilità di morire durante la gravidanza e il parto rispetto alle donne tra i 20 e i 29 anni. 
  • Le bambine tra i 5 e i 14 anni sono occupate il 40% in più del tempo, circa 160 milioni in più di ore al giorno, in lavori domestici non pagati e nel raccogliere acqua e legna rispetto ai bambini della stessa fascia di età. Le ragazze tra i 10 e i 14 anni in Asia Meridionale, Medio Oriente e Nord Africa sono occupate circa il doppio del tempo in faccende domestiche rispetto ai ragazzi. I paesi in cui le ragazze tra i 10 e i 14 anni subiscono in maniera sproporzionata il peso delle faccende domestiche rispetto ai ragazzi sono: Burkina Faso, Yemen e Somalia. 
  • Un bambino che nasce da una madre minorenne ha il 60% delle probabilità in più di morire in età neonatale, rispetto a un bambino che nasce da una donna di età superiore a 19 anni. E anche quando sopravvive, sono molto più alte le possibilità che possa soffrire di denutrizione e di ritardi cognitivi o fisici. - Le donne rappresentano la metà della popolazione, ma costituiscono il 70% dei poveri. Si stima che un aumento del 10% di ragazze che frequentano la scuola, farebbe aumentare il PIL del 3%. 
  • Solo 1 ragazza ogni 3 maschi frequenta la scuola secondaria. Ogni anno di scuola secondaria aggiuntivo aumenta la retribuzione futura della ragazza del 15-25%.
Continua

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